Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario n° 8 – La palestra dello scrittore
Allacciandomi alla volta scorsa, quando abbiamo parlato del perché si scrive, vorrei oggi riprendere il discorso introducendo un’altra questione, comunque legata a filo doppio con lo scrivere: la lettura. Come facile aggancio, potremmo iniziare prima di tutto, senza rischiare di sbagliarsi, dal fatto che si scrive soprattutto perché si legge. Durante tutti questi anni di laboratori e corsi, mi sono capitati giusto due-tre casi a fare eccezione a questa regola implicita: la ragazzina molto creativa ma imbrigliata dai rigidi programmi ministeriali delle scuole, e che quindi era stata portata a considerare noiosa la lettura; il tizio con un lavoro umilissimo che non aveva nessuna velleità ma solo voglia di divertirsi (per esempio scrivendo autoironici stralci della sua vita oppure poesie umoristiche), al contempo per niente attratto dalla lettura per scarsa abitudine, pigrizia o mancanza di piacere; il professionista di livello, esperto in una particolare materia (scientifica o artistica), ma poco avvezzo a sfogliare un libro non tecnico per passare il tempo o lasciarsi ispirare. In sostanza, queste persone non leggevano affatto o leggevano pochissimo, ma solo il terzo era capace di impressionarmi con i suoi scritti; personale nello stile e brillante nelle idee, dotato di una mente fervida e probabilmente nutrito dalla bellezza del proprio lavoro (in un caso, per esempio, si trattò di un restauratore sul piano internazionale, che durante la sua carriera aveva lavorato su opere di Donatello, Pontormo, Beato Angelico, Filippo Lippi, Rembrandt e altri di questa caratura). È chiaro perciò che quest’ultimo appartenesse alla categoria delle rarità, mentre tutti gli altri si collocavano esattamente dove dovevano stare: nella massa di persone che scrivono male o al massimo in maniera dozzinale, senza nessun lampo di originalità. Spero che almeno quella ragazzina oggi trovi più piacere nella lettura di quanto ne trovasse allora.
Fin qui tutto sommato niente di illuminante: sappiamo benissimo che, in quanto scrittori, non possiamo progredire che passando dalla palestra della lettura. Solo così impareremo a concepire un incipit efficace, ad ampliare e raffinare il nostro vocabolario, a sperimentare sulla sintassi e sulla punteggiatura, a lavorare sulla struttura del romanzo, a caratterizzare i nostri personaggi, a limare le naturali imperfezioni (impossibile forse cancellarle del tutto, ma sono anche quelle che a volte contribuiscono a differenziarci rispetto agli altri), a migliorare lo stile in generale e a imprimere il giusto ritmo alla nostra prosa. Sia chiaro: raggiungere un proprio stile, uno stile riconoscibile e possibilmente unico, una voce potente che emerga dal mucchio della mediocrità e dell’ordinarietà, è l’obiettivo più elevato in cui si possa sperare. Ma allo stesso tempo è forse il soloobiettivo da porci se vogliamo lasciare il segno. Non è forse questo che vogliamo ottenere? Che in mezzo all’oceano di libri “normali” gli altri ci leggano e dicano «Oh, finalmente qualcosa di diverso» oppure «Non ho mai letto niente di simile». Il mercato editoriale del resto è pieno di libri che raccontano storie, e molti scrittori, in una di quelle tante interviste che abbiamo citato sempre a proposito del “Perché scrivi”, vi diranno che scrivono semplicemente per raccontare delle storie. Ma qui forse sconfino nella sfruttata diatriba tra lo stile e il contenuto; sullo stile, semmai, ci ritorneremo di sicuro in un’altra occasione. Voglio solo concludere questa prima parte dicendo che se voi siete in grado di entrare nell’immaginario collettivo e perfino di cambiarlo come ha fatto Stephen King, allora potete anche accontentarvi di raccontare storie; ma temo che pure questo nome rientri nel campo dell’eccezionalità.
Ancora Stephen King nel già citato On writingdice: “Se volete fare gli scrittori, ci sono due esercizi fondamentali: leggere e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare queste realtà, non conosco scorciatoie.” Torneremo a parlare anche dell’importanza di tenersi in allenamento, disciplinarsi e trovare continuità con la scrittura attraverso il metodo, dunque per ora vorrei soffermarmi sulla lettura. Qualche tempo fa incrociai un programma televisivo collegato alla lodevole iniziativa #ioleggoperché, mediante la quale si raccolgono libri per le scuole e si regalano libri nelle piazze d’Italia. Veniva chiesto alla gente e agli scrittori «Perché leggi?», ed ecco dunque un’altra domanda alla stregua della precedente. Vedendoli in tv, a me veniva da citare la geniale battuta di Woody Allen “Leggo per legittima difesa”, ma intanto venivano offerte risposte come “leggo per viaggiare”, “per evadere”, “per immedesimarmi”, “per non smettere di sognare”, “per essere eterno” e altre cose del genere, risposte magari a effetto ma che forse, in alcuni casi, tendevano ad allontanarsi dall’essenza della cosa, insomma dalpiacere, in primo luogo, che ci lega a una certa attività, piacere senza il quale probabilmente faremmo altro, come darci a un qualche sport o suonare uno strumento. Per questo, la risposta più centrata mi è parsa quella di Camilleri, che ha detto molto semplicemente “Leggo per il piacere della lettura”. E certo, e perché sennò?
Statistiche alla mano (Istat, periodo di pubblicazione dicembre 2017), i lettori nel nostro paese sono in calo rispetto agli anni precedenti e si attestano intorno al 40% (circa 23 milioni di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali). A parte differenze territoriali, di sesso e di età, per considerarsi lettori “forti” in Italia, pensate, basta leggere almeno un libro al mese, e la percentuale in questo caso è del 14%. Oltre il 57% delle persone invece non ha letto nemmeno un libro nel corso dell’anno precedente. Dati sconcertanti. Anche a voler trovare delle attenuanti improbabili (che so, magari che in Norvegia, con la neve, il poco sole e tutto il resto, le condizioni climatiche conciliano di più con la lettura), bisogna ammettere che ormai si tratta di una componente ben radicata nelle nostre viscere. Sarà che siamo rapiti dagli smartphone, da internet, oppure, come qualche intellettuale ha detto “perché tutti scrivono”, o ancora, citando altri interventi in merito, “perché non c’è informazione sulla lettura”, “perché non c’è la cultura del libro”, “perché si fanno brutte recensioni”. Sarà. Io, da parte mia, più che perdermi in queste forzature (per esempio, uno che non legge un libro non legge manco una recensione) e spiegazioni sociologiche, direi piuttosto che mediamente agli italiani di leggere non gliene frega un granché, non gli piace, non gli interessa. Non so, sbaglio? Si può anche trovare il banale pretesto che non si legge perché non si ha il tempo di farlo (come qualcuno mi ha detto, persino un libraio), ma basta prendere un audiolibro e il problema è risolto (io stesso, appena prima di scrivere questo pezzo, ho svolto delle commissioni fuori, in bicicletta, e mi sono ascoltato un brano tratto da Sotto il vulcanodi Malcolm Lowry letto da Massimo Popolizio).
Per anni ho tentato di regalare a un amico libri per il suo compleanno, libri che ovviamente piacevano a me e che speravo lui potesse un giorno leggere; ma lui, non lettore convinto, ogni anno mi rispondeva «Ah grazie… ma ho ancora quello dell’anno scorso da leggere…». Questo per dire che non si può certo cambiare la realtà dei fatti e non sarebbe nemmeno giusto farlo. Come ha scritto Daniel Pennac nei suoi “diritti imprescrittibili del lettore” all’interno di Come un romanzo(altro libro fondamentale per uno scrittore, a mio giudizio), si comincia proprio da lì, con una sorta di provocazione, cioè con il diritto di non leggere. Poi ci sono tutti gli altri, che vi elenco qui di seguito, rimandandovi però a una lettura completa del testo:
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Il diritto di non leggere
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Il diritto di saltare le pagine
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Il diritto di non finire un libro
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Il diritto di rileggere
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Il diritto di leggere qualsiasi cosa
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Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)
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Il diritto di leggere ovunque
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Il diritto di spizzicare
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Il diritto di leggere a voce alta
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Il diritto di tacere
Bene, siamo arrivati in fondo anche per questa volta, e così facendo mi sono accorto che mi avevano chiesto di scrivere qualcosa sul Natale. Non ce l’ho fatta. Almeno vi dirò di regalare libri, per Natale, o di leggerne di più in quei giorni di festa, tra un’abbuffata e l’altra. E poi, se proprio posso darvi qualche suggerimento in tema, vi citerò oltre al solito Canto di Natale di Dickens (datato, forse, ma intramontabile, e il buon vecchio Charles vale pur sempre una lettura), i racconti sul Natale che preferisco. Questa la mia personale top five:
1- Il racconto di Natale di Auggie Wren, di Paul Auster;
2- Tutti i giorni di Natale, diHeinrich Böll;
3- Un Natale, di Truman Capote;
4- Van’Ka,di Anton Cechov;
5- Racconto di Natale, di Dino Buzzati.
A questo punto non posso che augurarvi una buona lettura.
Mirko Tondi
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