Riana Rocchetta – Fritto misto
Fritto Misto
Nello scendere dal letto Dio infilò il piede destro nella pantofola sinistra.
“Una giornata che comincia storta” borbottò.
Gli saliva dallo stomaco un rigurgito acido; si sentiva la bocca impastata, la lingua gonfia e aveva una gran sete.
Continuò a borbottare mentre percorreva in veste da camera il lungo corridoio inondato di sole che portava dalla zona notte al soggiorno.
La luce era troppa e lo infastidì.
Da subito lo seguì un irritante coro di Angeli inneggianti alla Sua Gloria e da ultimo, era quasi arrivato, un Santo che non riconobbe gli si parò davanti e gli domandò qualcosa che non capì.
Lo scansò con un gesto vago, infilò svelto la porta e lo chiuse fuori.
Esausto e di malumore, si lasciò cadere su una sedia davanti al tavolo apparecchiato per la colazione. Si versò un bicchiere d’acqua, che bevve tutto d’un fiato, mise un gomito sul tavolo e appoggiò la guancia sulla mano, quasi che la testa facesse fatica a stare su da sola.
“Maddalena, per favore, ci faccia portare del bicarbonato, o qualche altra diavoleria dalla cucina. Mi sa che non abbiamo digerito.”
La segretaria alzò lo sguardo dal PC e gli lanciò un’occhiataccia.
“Ha di nuovo mangiato la frittura di pesce” asserì in tono di riprovazione.
“É arrivato Sherlock Holmes.” Questo Dio lo disse sottovoce, ma Maddalena capì benissimo.
“Sfotta, sfotta pure, ma se fossi in Lei non la prenderei tanto sottogamba.”
“Sentiamo, cosa avremmo fatto questa volta?”
“Per ora nulla, ma Lei sa benissimo che le magagne salteranno fuori.” Il tono della segretaria diventò profetico, cosa che, dato l’ambiente, non stonava.
Dio sospirò.
Lui amava il fritto misto. Come si fa a rinunciare a una cosa tanto buona? Gli piaceva da sempre, da quando lo aveva assaggiato la prima volta per poi accorgersi, subito dopo, di essere intollerante a qualcosa che c’era dentro. Se poi lo mangiava per cena, momento di elezione per quel piatto, il pesce continuava a navigargli nello stomaco quasi fosse ancora vivo. Ma cosa è una indigestione di fronte all’eternità?
“Parigi val bene una Messa” pensava Lui.
C’era, a dire il vero, un altro piccolo inconveniente. Con il manifestarsi dell’intolleranza, cioè subito dopo mangiato, Dio tendeva a comportarsi in modo inconsulto.
Come quella volta che aveva mandato a fuoco un intero villaggio di pescatori nel tentativo maldestro di accendersi un sigaro con un antiquato acciarino. E per fortuna Maddalena, che stava seguendo un poco a caso le vicende della Terra sul suo computer, si era accorta in tempo del disastro. Aveva dovuto chiedere aiuto a un Signore del cielo accanto e convincerlo a fare piovere così tanto da spegnere l’incendio.
Favore che avrebbe dovuto restituire alla prima occasione, fra l’altro.
E quell’altra volta che aveva concesso la Grazia a un criminale infame che non ci pensava proprio a pentirsi?
Anche lì, un sacco di negoziati, di carta e di timbri per far tornare tutto come doveva essere.
Ma questo era poca cosa confronto al fatto che, in quei frangenti, Dio non ricordava niente di quanto era accaduto.
Sebbene di norma qualcuno avrebbe dovuto controllarlo, in realtà Lui non era tenuto ad avvisare quando rimaneva fuori a cena. E poi, non lo si poteva mica seguire sempre e ovunque! Uno che sta in ogni luogo come fai a beccarlo? Inoltre Lui era bravissimo a far perdere le tracce. Così, la maggior parte dei guai che provocava non venivano scoperti. Rientravano nell’ordine delle cose. A volte saltavano fuori molto più tardi, quando non si poteva più rimediare. Allora si lasciava perdere. E poi il Capo era Lui.
Il bicarbonato lo fece sentire subito meglio.
Appoggiò tutte e due le mani sul tavolo.
“Cosa c’è per colazione?”
Maddalena la prese come una battuta di Spirito.
“Meno male che si riprende in fretta” pensò.
“Come mai Lei che tutto sa questa non l’indovina?”, gli rimandò in tono scherzoso.
“No, davvero, cosa c’è per colazione?”
Maddalena lo guardò costernata.
“Ma parla sul serio? Non lo sa? La sua precognizione che fine ha fatto?”
“Al momento direi che è sparita.”
Dio si lisciò la barba e rimase con lo sguardo perplesso a fissare la caraffa dell’acqua sulla quale i raggi del sole disegnavano un arcobaleno.
“Ma questo è un disastro!”, mormorò Maddalena atterrita.
“Suvvia mia cara, non farne una tragedia, adesso la ritroviamo. È solo strano. Non avevamo mai perso niente di così… personale.” Ridacchiò. L’arcobaleno si era spostato su un bicchiere.
“In fondo tutto va come deve andare. L’abbiamo deciso Noi, quindi va bene. Cosa sarà mai se per dieci minuti stiamo liberi dai pensieri? Perché tu, la preveggenza, ce la ritrovi in dieci minuti, vero?”
L’occhio del Creatore era sereno, ma la voce tradì una certa ansia.
Maddalena si torceva le mani.
“Dieci minuti, dieci minuti. Fa presto Lei a parlare. Cosa succederà se qualcuno se ne accorge?”
“E chi, scusa?”
“Mah, non so, i vicini per esempio. Se Lei perde credibilità poi si viene a sapere e magari qui ci mettono qualcun altro e noi dovremo traslocare in un attico più modesto o addirittura in un appartamento. E forse io sarò di troppo e verrò licenziata.” Maddalena iniziò a piangere, prima sommessamente, poi via via in singhiozzi sempre più angosciati.
“Calmati o ti ributto in strada.” Dio si alzò in piedi scuotendo la testa, allontanò da sé la sedia e si diresse al mobile bar sotto la vetrata che dava sull’infinito.
Versò due dosi abbondanti di cognac, una per sé e una per Maddalena che, alla minaccia, si era taciuta di colpo e ora lo guardava di sottecchi tirando su col naso.
“Ora calmiamoci tutti. Ci beviamo questo, anche se è un po’ prestino, ma credo che tu ne abbia bisogno. E io anche.” Abbandonando per un momento il plurale maiestatis le porse il calice.
Mentre Dio si deliziava con la solita colazione che, questa volta, era tutta una sorpresa, Maddalena, riacquistato il controllo dei nervi, provò con tatto ad interrogarlo sugli avvenimenti della sera precedente. Se fosse riuscita a ricostruire il percorso da Lui compiuto, forse avrebbe trovato, nella sequenza, il momento esatto del pasticcio.
“Ma Lei è proprio sicuro che non ricorda niente?”
“E come no? Ricordiamo tutto, fino al dopo cena. Ottimo locale, un covo di comunisti, un fritto sublime, te lo dico. Ecco, di lì in avanti, buio.”
Maddalena si armò di pazienza.
“Si ricorda dov’era il ristorante?”
“Livorno, Italy, Terra.”
“Mi può mostrare dov’è questo posto?”
Si alzò dalla scrivania e portò il PC sulla tavola dove Dio stava gustando un caffè come se fosse la Sua prima volta.
“Me lo segni sulla mappa.”
Dio puntò il dito indice della mano destra.
“Qui” indicò un punto.
“Osteria Melafumo.” La segretaria prese nota. “E ha mangiato da solo?”
“Abbiamo cenato con un tipo proprio simpatico. Ci ha raccontato un sacco di aneddoti sulla sua vita. Noi li conoscevamo già, è naturale, ma aveva un modo di narrare talmente divertente… Sì, ecco, abbiamo mangiato proprio bene e in ottima compagnia.”
“Vi siete presentati? Si ricorda come si chiama?”
Dio ci pensò su e poi si illuminò tutto
“Aldo. Ecco. Aldo.” Lo ripeté soddisfatto.
“Tutto qui? E il cognome, almeno?”
“No quello non ci viene in mente. Forse ce l’ha detto, forse no. Non so.”
“Ma scusi, e l’onniscienza dov’è finita?”
“Come osi? Noi sappiamo tutto.” Dio si inalberò, a tal punto che si alzò in piedi in tutta la sua potenza. Poi rimase immobile e ripiombò sulla sedia.
“Tranne questo piccolo particolare di ieri sera” bofonchiò.
Maddalena non riuscì a trattenersi: “Cioè da ieri sera in poi, per tutti i secoli dei secoli, intende dire.”
“E allora su, datti una mossa, cerca sul tuo computer, fai qualcosa.” Questo Dio lo gridò, battendo il pugno sul tavolo.
Maddalena chinò la testa sulla tastiera con un sospiro.
Quella stessa mattina, alle otto in punto, Aldo Morelli, residente a Livorno in via dei Fulgidi al numero sette, cercava a tentoni di spegnere la sveglia, che stava sopra il comodino a fianco del letto.
Si stiracchiò e si mise seduto.
Da quando era andato in pensione dormiva benissimo.
Era stato un dipendente ministeriale e aveva colto al volo la prima occasione di prepensionamento.
Da sempre allergico all’idea del matrimonio, viveva solo.
Gran parlatore, simpatico e dalla battuta veloce, amava il buon vino, la buona tavola e giocare a carte con gli amici. Un bell’uomo, giovanile e ancora in forma, che intendeva godersi tutto il tempo a venire senza sforzarsi più di tanto.
La mattina era già programmata.
Avrebbe indossato un paio di pantaloni beige di velluto a coste leggeri, una camicia bianca – sapeva esattamente quale – le scarpe sportive e anche il gilè, che gli dava un’aria signorile e disinvolta. E il suo adorato borsalino di paglia, perché la giornata sarebbe stata calda e soleggiata.
Poi sarebbe sceso al bar a fare colazione e a leggere gratis il quotidiano locale, rilassato nel tranquillo trantran della sua nuova vita da signore.
Dopo la colazione e il giornale avrebbe passeggiato fino al mercato del porto e comprato il pesce per mezzogiorno. Poi si sarebbe incamminato verso il Circolo sociale La primula, dove aveva appuntamento con un paio di anziani nullafacenti come lui per una partita a carte e un aperitivo. Sarebbe risalito da via Della Venezia, camminando rasente a un palazzo di colore rosa sbiadito e, arrivato al numero tredici, alle undici e venticinque in punto avrebbe preso un colpo in testa e sarebbe morto.
“Boia! E questa idea da dove arriva?”, pensò Aldo, uomo concreto, poco incline ai sogni a occhi aperti e mai stato vittima di una premonizione in vita sua.
“Non sarà che non ho digerito?”
La sera precedente aveva mangiato in un ristorante di sua conoscenza, famoso per la cucina di pesce e si era attardato a tavola.
A un certo punto della serata uno sconosciuto alto, elegante, capelli e barba candidi ma un’età difficile da definirsi, gli aveva chiesto il permesso di unirsi a lui per la cena. Invitato al tavolo con entusiasmo da Aldo, sempre ben disposto verso le nuove conoscenze, si era dimostrato un commensale affabile, un po’ sapientone ma pieno di spirito e incline alla risata.
L’uomo, che si era presentato come Guido Costa, di Genova, aveva mangiato una quantità esagerata di frittura, innaffiandola con una pari quantità di vino rosso. Era molto portato alle riflessioni teologiche, che si sa, dopo parecchio alcool e fra due uomini col senso dell’umorismo, possono degenerare in filosofia spicciola, a tratti demenziale.
Ancora chiacchierando erano usciti insieme dal ristorante e avevano terminato la serata al Bar dello Sport, con un paio di bicchierini digestivi.
Aldo aveva preso commiato dal nuovo amico con una stretta di mano e se ne era andato a dormire.
Non si sentiva appesantito, il vino era buono e non aveva un filo di mal di testa.
E allora perché quel brutto pensiero che non se ne voleva andare?
“Avrò fatto un brutto sogno” decise.
Ma più che una sensazione, era come guardare un film. Già visto.
“Bah!”
Si vestì come aveva deciso e scese al bar.
L’impressione di déjà vu lo seguiva e lo anticipava, tanto che finì per rovinargli la colazione e gli impedì di leggere con attenzione il giornale. Non si accorse che le notizie, quella mattina, lui le conosceva tutte.
Il pensiero della sua prossima morte non lo abbandonava.
“Ma chi l’ha poi detto che mi comporterò per forza in questo modo?”, concluse il ragionamento. “E se da via Tal dei Tali, alle undici e venticinque, io non ci passo?”
Rinfrancato da questa decisione, si diresse al mercato del pesce, per non dover poi rinunciare al pranzo che si era programmato.
Erano già le dieci e tre quarti e, dato che il pensiero non se ne voleva andare decise sì, di passare per la strada della visione, ma di evitare accuratamente di costeggiare il palazzo colpevole. Era piuttosto curioso di vedere cosa sarebbe accaduto all’ora X, nel posto fatidico.
Quindi si incamminò e, a cento metri almeno dal luogo della sua prevista morte, si sedette al tavolino di un bar, dall’altra parte della strada, per stare sul sicuro.
Da lì aveva una buona vista del caseggiato che gli stava rovinando una mattinata di sole perfetta.
Passata l’ora incriminata se ne sarebbe andato al circolo per l’aperitivo, senza nulla da raccontare, ne era certo.
La porta del soggiorno si aprì per lasciare entrare il Figlio, come sempre accompagnato dal fido cane Argo.
Maddalena gli rivolse un sorriso smagliante.
“Buongiorno” cinguettò.
“Ho un’idea!”, esclamò Dio e la luce risplendette di nuovo da Lui.
“Il cane! Facciamolo cercare dal cane questo Aldo. Qui… Vieni Argo, vieni qui.” Prese dal tavolo un biscotto e lo allungò al cane.
“Qui, qui. Annusa la mano.” E rivolgendosi all’entourage: “Dev’essere stato quando ci siamo salutati. È normale salutarsi con una stretta di mano, vero?”
Si guardò intorno in cerca di conferme.
“Ma non si è lavato stamattina?”. chiese Maddalena, in gran forma.
“Taci, impertinente” la zittì il Capo, carezzando il cane che scuoteva la coda aspettando un altro biscotto.
“Andate, andate, su, trovate questo Aldo. Tieni Figliolo, ti basterà sfiorare quell’uomo con questo tovagliolo quando lo trovi. Poi ce lo riporti subito, mi raccomando.”
“Un tovagliolo magico?”, chiese il Figlio ripiegando con cura il tessuto, prima di metterlo nella tasca posteriore dei pantaloni.
Dio lo fulminò con un’occhiata.
“Prima posso fare colazione?”
Il Figlio si sedette al tavolo e si versò una tazza di caffè.
“Posso scendere anch’io?”, chiese Maddalena con un sorriso malizioso.
“No! Tu stai qui” si intromise il Padre. “Sistemiamo tutto e poi ti potrai prendere il pomeriggio libero.”
Erano circa le dieci quando il Figlio e il cane comparvero di fronte al ristorante Melafumo, in quel momento ancora chiuso. Argo annusò lì intorno per benino e si decise per la direzione nord-ovest.
Fecero un lungo giro, perché il cane seguì le tracce del Signor Aldo prima fino a casa sua e, da lì, si avviò – sempre annusando – verso il porto e il mercato del pesce.
Alle undici e un quarto stavano ancora camminando su e giù per i banchi, ormai confusi da tutti quegli odori, quando il cane girò improvvisamente a sinistra, come sapesse dove stava andando.
Se il Signor Aldo non fosse stato tutto preso dal pensiero della sua prossima, ipotetica fine e avesse esplorato meglio il potere che gli era stato concesso, avrebbe visto nell’immediato futuro, mentre stava seduto al tavolino di un bar, dal quale non aveva la minima intenzione di muoversi almeno fino a mezzogiorno, un bel ragazzo biondo con un cane bianco salire dalla strada del porto nella sua direzione, passare dietro alla sua sedia e sfiorargli le spalle con un tovagliolo.
Ma anche se lo avesse visto non l’avrebbe trovata cosa degna di nota.
Aldo guardò il telefono e lesse l’ora.
“Già le undici e venti! Ma che diavolo ci faccio qui?”
Prese in mano il sacchetto col pesce, e si alzò per pagare. Il sole stava dall’altro lato della strada e lui si era un poco infreddolito.
Attraversò fischiettando.
La signora Marina Bucchieri abitava anche lei a Livorno all’ultimo piano di un palazzo di via Della Venezia, al numero tredici.
Il palazzo era vecchio, l’appartamento al quinto piano, senza ascensore ma molto luminoso. Quieto proprio perché così in alto, aveva anche il pregio di un bellissimo terrazzino nel sottotetto, che si affacciava sulla strada.
Alle undici e ventiquattro la signora Marina uscì sul terrazzo con l’innaffiatoio pieno e l’intenzione di far bere i suoi gerani in fioritura sul cornicione.
Il gatto stava facendo pipì in un vaso.
Marina appoggiò l’innaffiatoio e cercò di far scendere il gatto dalla parte giusta del muro.
Così facendo urtò con un gomito un grosso vaso pieno di fiori rosa che cadde a piombo sulla testa del Signor Aldo, uccidendolo all’istante.
Erano le undici e venticinque in punto.
Il Figlio tolse di tasca il cellulare e scrisse un messaggio.
“Papà, stai sereno. Tutto ok. Pranzo fuori.”
E premette il tasto invio.
Nel 2019 “Fritto Misto” è stato finalista al XXV Trofeo RiLL per il miglior racconto fantastico, concorso letterario organizzato dall’associazione RiLL Riflessi di Luce Lunare (www.rill.it).
Riana Rocchetta
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