Luca Palmarini – Pianeta Est – La Vigilia di Natale nella letteratura polacca: tra cenone e religiosità
La Vigilia di Natale nella letteratura polacca: tra cenone e religiosità
Ci risiamo. Anche quest’anno sta arrivando il Natale. E così ci saranno gli auguri, i regali, i buoni propositi, le abbuffate. Il filo conduttore del processo che si innesca il 24 dicembre è l’atmosfera di felicità che regna, o perlomeno dovrebbe regnare, in ogni casa. Alcuni di voi penseranno: beato te Luca, che te ne stai in Polonia, con quell’atmosfera slavo-nordica, i mercatini di Natale nelle piazze delle città d’arte come Cracovia, illuminate a festa, la neve e il freddo tipici delle feste natalizie. Al di là di questo classico ritratto bucolico, bisogna ammettere che in Polonia la Vigilia di Natale è vissuta in modo davvero profondo, decisamente più profondo rispetto alla giornata successiva, quando l’euforia per i preparativi della notte di Natale lascia spazio a una pace interiore; il 25 dicembre ci si rilassa, conversando con la propria famiglia e cercando di ritrovare quei rapporti umani che durante l’anno vengono sopiti dai ritmi del capitalismo sfrenato cui siamo soggetti.
Il giorno della Vigilia, invece, viene vissuto con una certa intensità; tutti i polacchi sono coinvolti nei preparativi per il cenone che non si riduce a essere un pasto dove la famiglia si riunisce, bensì è un vero e proprio rituale di antiche tradizioni. Ancora ai giorni nostri quasi tutti gli esercizi commerciali chiudono alle quattro del pomeriggio, tutti si affrettano a tornare a casa a preparare il cenone. A tavola si lascia un posto libero per un ospite inatteso, ci si prepara per i gesti propiziatori: la paglia sotto la tovaglia, una squama di carpa portafortuna da donare ai nostri cari, il Vangelo di cui si legge un passo e, molto importante, l’Opłatek, una cialda che ricorda l’Ostia, da spezzare e scambiare con i propri cari insieme agli auguri in segno di riconciliazione. Possiamo dunque facilmente immaginare che la Vigilia, momento così sentito nella cultura polacca, abbia lasciato traccia di sé anche in opere letterarie. Allora vi accompagno in un viaggio tematico tra le pagine di una delle letterature più interessanti al mondo.
Una delle rappresentazioni più intense della cena della Vigilia la troviamo nel romanzo di Władyslaw Reymont, I contadini, per il quale nel 1924 allo scrittore venne assegnato il Nobel. Nel secondo libro dell’opera, Reymont ci narra dei preparativi alle festività natalizie che hanno luogo nel villaggio di Lipce. È una delle più belle e complete descrizioni del Natale polacco di sempre: “Durante la Vigilia, prima delle ore sante, già dalle prime ore di luce, in tutta Lipce ferveva un viavai affrettato e febbrile”. In ogni casa si metteva in ordine, molti si recavano in città per le spese, altri compravano il pane, altri ancora infornavano l’Opłatek. Quando tutto finalmente era pronto “in ogni casetta, sia presso il ricco che dall’esattore, fino all’ultimo dei poveri, ci si vestiva in modo elegante e si aspettava il sacramento dell’unzione; in ogni abitazione nell’angolo che dava a oriente si metteva un covone di grano, le panche o i tavoli erano coperti da un telo bianco sotto il quale era stato infilato il fieno, intanto si guardava dalla finestra in attesa della prima stella”. Dopo l’apparizione della prima stella la tavola era apparecchiata sontuosamente (o quasi) per le grandi occasioni. Dopo le portate principali toccava al dolce, frittelline di grano saraceno spalmate di miele accompagnate da un caffè vero, non un surrogato che si beveva forse durante l’anno. Il caffè aveva persino lo zucchero! Magia della Vigilia. Nel frattempo si rendeva omaggio al Signore leggendo le Sacre Scritture. Finito il cenone ci si trasferiva nelle stalle dove si offriva agli animali un pezzetto di Opłatek da poco sfornato. Alla fine la Vigilia veniva coronata con la Pastorale alla quale partecipava ogni cristiano.
Reymont passa poi a raccontarci del cenone della Vigilia presso la famiglia Boryna, la più ricca del villaggio. Il realismo dello scrittore polacco raggiunge l’apice nella descrizione delle portate servite a tavola che i commensali, sebbene affamati dopo una lunga giornata di digiuno e di lunghi preparativi, consumavano lentamente e in modo dignitoso:
“Prima ci fu la zuppa acida di barbabietole, bollita con i funghi e patate intere, poi arrivarono le aringhe impanate nella farina e fritte nell’olio di canapa. Dopo gli gnocchi di farina con papavero, poi arrivò il cavolo con i funghi, anch’esso condito con un filo d’olio, e per finire Jagusia portò una pietanza squisita, i racuszki (frittelle dolci n.d.t.) di farina di grano saraceno spalmati di miele e conditi con olio di papavero; il tutto era accompagnato da morsi di pane semplice.”
Così era la Vigilia di un secolo fa, in un tipico villaggio polacco. Oggi leggere Reymont è come viaggiare a ritroso nel tempo.
Un racconto entrato a far parte dei classici che richiama alla tematica delle feste natalizie è Czwarty król, Il quarto re, di don Mieczysław Maliński. In esso si narra del quarto dei Re Magi che si era messo in cammino insieme agli altri tre, ma a Betlemme non ci sarebbe mai arrivato, poiché aveva donato tutto in dono ai poveri che incontrava lungo la strada. Vendette anche se stesso come schiavo, sempre per salvare altri bisognosi. Dopo 33 anni finalmente tornò dal suo lungo viaggio di sacrificio per il prossimo. Mentre entrava nella grande città da mendicante, il Re vide una folla che osservava il cammino di alcuni condannati a morte. Uno di essi di lì a poco sarebbe stato crocifisso insieme ad altri due. Sulla sua testa sarebbe apparsa la scritta: “Gesù di Nazareth, re dei Giudei”. Guardando Gesù negli occhi, il Quarto Re comprese di aver fatto la scelta giusta, di non aver sprecato la sua vita, e così si sentì pervaso dalla felicità.
Il racconto, che fa parte della raccolta Bajki nie tylko dla dzieci, richiama alla speranza ̶ sentimento che il popolo polacco non ha mai perduto nonostante il suo complesso destino ̶ così come al vero significato religioso del Natale.
Tornando alla cena della Vigilia, ho avuto modo di leggere Traktat o łuskaniu fasoli (Trattato sulla sbucciatura dei fagioli) di Wiesław Myśliwski, dove il ritratto della sera del 24 dicembre entra di diritto in questa mia raccolta:
“La Vigilia aveva sempre inizio con l’accensione delle candeline sull’albero di Natale. Poi la mamma apparecchiava il tavolo con una tovaglia bianca e vi posava sopra le portate. Le portate erano sempre dodici. Prima spezzavamo l’Opłatek, poi tutti sedevano intorno al tavolo. In occasione della Vigilia ognuno aveva il suo posto prestabilito. E, per l’amor di Dio, ognuno cercava di mangiare in modo da non macchiare la tovaglia. Persino il nonno non riempiva il cucchiaio affinché qualcosa non gocciolasse, non cadesse. E mangiava in silenzio come non aveva fatto mai, non sbatteva la bocca, non lappava. La nonna arrivò addirittura a elogiarlo, chiedendogli se non potesse mangiare così ogni giorno. Oh, no, quella non era una tovaglia qualunque. La mamma la stendeva sul tavolo solo alla Vigilia. L’aveva cucita lei stessa per un unico scopo, ovvero per usarla solo la Vigilia. […]
Cosa abbiamo mangiato alla Vigilia? All’inizio un po’ di formaggio alla menta per rammentare i pastori. Poi lo żur (zuppa tipica polacca con farina di segale fermentata n.d.t.) con funghi e grano saraceno. Pierogi con cavoli e funghi. Patate con la buccia cucinate con il sale. Żur con siero di latte per bevanda. Pierogi con prugne secche, spolverati con noci e conditi con la panna saltata in padella. Gnocchi di farina con papavero. Pesci bolliti o fritti (…). Poi cavolo con piselli oppure solo cavolo soffritto con olio di lino.
Scoppiavamo per il troppo cibo ingurgitato , nonostante di ogni portata avessimo preso porzioni minime. E dopo si andava alla Pastorale. Noi bambini, ci addormentavamo quasi tutti perché la Pastorale era a mezzanotte. Ci dovevamo comunque andare. Solo allora venivano spente la candeline sull’albero.”
Ancora una volta viene sottolineato come il Cenone della Vigilia in Polonia sia ricco di portate con i prodotti tipici che offre una terra dal clima freddo.
La notte della Vigilia è anche il momento in cui si svolge tutta la storia raccontata nel romanzo Noelka di Malgorzata Musierowicz. La protagonista è Elka, una ragazzina di 17 anni che vive con il padre, il nonno e lo zio. Questi ultimi due sono in perenne conflitto tra loro. Tutti gli uomini di casa le dimostrano un grande affetto, adorandola e assecondando ogni suo capriccio. Questo fa crescere nella ragazza un forte egoismo che si riflette sul mondo che la circonda. La sera della Vigilia Elka finisce in casa della famiglia Borejko. Qui ha luogo la trasformazione della giovane: la sincera atmosfera natalizia di quella casa, i regali fatti tutti a mano e posizionati in armonia sotto l’albero, le lucine delle decorazioni, il profumo di uno dei piatti tipici della cena della Vigilia polacca, la carpa, sembrano agire sulla sua personalità. Ma in verità quello che fa cambiare qualcosa nel cuore di Elka è la bontà della gente che la ragazza incontra la sera di Natale. Noelka è senza dubbio l’opera polacca sulla Vigilia che più richiama al romanzo di Dickens. Il titolo allude chiaramente all’unione del dimunitivo Elka con la parola Noël, in francese Natale.
Un paese come la Polonia, che porta con sé una storia complessa e dolorosa, presenta anche testimonianze letterarie delle festività natalizie non proprio radiose. Un’immagine dissacrante della Vigilia di Natale la offre lo scrittore a me caro Marek Hłasko ̶ di cui proprio in questo periodo sto curando una traduzione ̶ nel suo romanzo Wilk, pubblicato soltanto nel 2015. Hłasko, scrittore maledetto, ha costruito in modo consapevole il suo mito e la sua immagine di ribelle. I protagonisti da lui creati di solito non riportano che sconfitte. Gli ideali che essi incarnano non riescono a reggere lo scontro con la brutale realtà. Ed ecco, in assoluta armonia con la prosa diretta di Hłasko, un duro ritratto della Vigilia in una famiglia polacca:
“Alla fine in cielo iniziò a splendere la stella della Vigilia, una stella piangente. Prima la madre pulì con la cenere una maniglia e il mortaio privo di un orecchio, fino a farli diventare lucidi, Rysiek a Bielany aveva rubato un misero cespuglietto e con un festone colorato di carta ne completò il processo di abbruttimento, il padre si era conquistato due litri di vodka pura, ma lo dimostrò solo nel momento in cui si sedettero a tavola per festeggiare. Si divisero l’Opłatek, si baciarono in modo goffo, il padre tossì, la madre si strofinò le lacrime con la manica, non credendo affatto in quello che dicevano, con toni beffardi si augurarono a vicenda ogni bene, cantarono W żłobie leży, któż pobieży; il Boršč con i cappelletti si era bruciato nel forno, il padre bestemmiò fino a quando un angioletto si staccò dall’albero andando a cadere sul suo musetto rosa, poi mangiarono e aspettarono in silenzio l’ora in cui gli animali con voce umana iniziano a maledire il proprio destino”.
L’atmosfera del Natale ha coinvolto anche il mondo della poesia; molti poeti polacchi hanno reso in versi le sensazioni provate nel periodo della festività natalizie. Jan Kasprowicz ci ha lasciato la lirica Przy wigilijnym stole (Al tavolo della Vigilia) con una visione classica della cena del 24 dicembre e dell’atmosfera che vi regna:
Al tavolo della Vigilia / spezzando il sacro Opłatek/ rammentate che questo è un giorno di gioia/ Nell’amore è concepito / Che, come dice a noi tutti/ Un vecchio, eterno messaggio d’auguri, / Con la prima stella in cielo/ Dio siede nella nostra casa, / Accoglierlo con il cuore caldo, / Non aver paura di aprire la porta ̶ / Questo è quello che vi ordina di fare / L’amore, la più grande virtù […]. Perdonarsi le colpe a vicenda, / Mettere fine agli errori, / Dalla lotta uscirà vittorioso / Il cuore combattente del popolo.
Ancora una volta compare l’Opłatek preparato in casa (oggi perlopiù si compra già fatto), spezzato e poi scambiato, importantissimo simbolo di riconciliazione, pace e serenità. Kasprowicz immortala un Natale di speranza, di amore, ritornando alle radici originali di questa festività. Nella lirica emerge anche il patriottismo polacco.
Anche il poeta Czesław Milosz, premio Nobel per la letteratura nel 1980, si è lasciato affascinare dal tema, scrivendo Baśn wigilijna (Fiaba della Vigilia), inclusa nel libro Ocalenie, dato alle stampe nel 1942:
Dopo una vita piena di assurdo e sconforto / Dalla mano di Dio in un angelo d’argento trasformato / Nella notte che con la stella cometa fa paura/ Un certo essere umano è volato là dove un bambino chiama / Sulla culla le ali ha spiegato largamente/ Per il bambino la luce riflessa su un’ala era divertente / Al bambino una montagna innevata l’ala sembrava / un cento ruscelli rosa su di essa giocherellava. […]
La prima parte della poesia, qui riproposta, sembra introdurci in un’atmosfera di pace e serenità, ma di seguito la visione metaforica del mondo da parte del poeta diventa terrificante, sentimento che possiamo comunque intuire sin dall’inizio, poiché la stella cometa “straszy”, fa paura. Il bambino in questione è Gesù che “dona nuovamente alla terra l’innocenza dopo i crimini perpetrati”. L’esperienza della guerra vissuta dal poeta in prima persona non gli dà pace nemmeno alla Vigilia di Natale, ma dall’altra parte la lirica contiene la convinzione che anche i crimini più tremendi degli esseri umani verranno espiati. Sebbene restino chiari i riferimenti al secondo conflitto mondiale (i cani da caccia che inseguono la preda sono i nazisti, mentre “czarna fala”, l’onda nera, potrebbero essere il nazismo stesso e i crimini che ne sono conseguiti), Fiaba della Vigilia è diventata l’immagine universale di ogni guerra, Si tratta della visione impregnata di catastrofismo, quasi apocalittica, tipica dell’opera di Miłosz. Nonostante le feste natalizie la guerra continua.
Kostanty Ildefons Gałczynski con Powrót (Il ritorno) ci lascia una poesia che mette in evidenza l’effetto melanconico che il periodo natalizio spesso scaturisce. In questi giorni capita di guardare al passato, alle nostre scelte di vita. È un fatto normale, considerato che durante le festività natalizie molti tornano dalla propria famiglia, alle proprie origini, a volte alle proprie sofferenze. L’anno sta per finire mentre la Vigilia e il Natale sono giorni di profonda riflessione interiore per tutti, anche per chi non è credente. Amo Gałczyński e la sua poesia metaforica. Ecco un frammento de Il ritorno:
È segnata da qualche parte una via / ma come arrivarci? Per dove? / La via dell’infanzia tradita/ Del Grande Canto di Natale è la via. / In questa via a me conosciuta / Nella polvere del carbone / Non nel Paradiso terrestre / Si trova una casa come altre case / La casa in cui sono nato / Lo stesso custode presso il portone / Davanti al portone la stessa pietra. / Chiede il custode: “Dove è stato tutti questi anni?” / “Ho vagato per questo stupido mondo” / Allora veloce su per le scale/ Entri. La mamma sempre giovane d’aspetto / Davanti a lei papà con i baffi neri/ E i nonni sempre uguali. / E il fratello che aveva un’ocarina e poi era morto per la scarlattina/ […].
Altre poesie che trattano il tema delle festività natalizie sono: Wigilia di Jan Twardowski, Pieśń o narodzeniu Pańskim di Franciszek Karpiński, Z szopką di Krzysztof Kamil Baczyński, Wigilia w lesie di Leopold Staff e Bajka di Tadeusz Różewicz.
È splendido il Natale polacco, così come lo è la letteratura di questo paese. Ultimamente tale affermazione ha trovato ulteriore conferma nell’assegnazione del Nobel alla scrittrice Olga Tokarczuk. Non mi resta che scrivervi la classica ma sincera sentenza: Buon Natale a tutti!
Testo e traduzioni di Luca Palmarini
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