Nadia Cortese – “Ossessione di primavera”
“Sento profumi inebrianti al sorgere dell’alba, sento i tuoi passi tra le meraviglie sbocciate. Vieni da me creatura degli inferi, danza con i petali nuovi e poi graffiami la pelle mentre urli d’estasi.”
Ossessione di primavera
“Vedi mio caro fedele Priyam, il problema non è l’amore in sé ma lo scellerato uso che alcuni mortali ne fanno. Come un utensile per pietanze, molti lo armeggiano per porzionare il prossimo e cibarsene, poi, con famelica voracità.”
“Mio signore, basta un vostro comando e il lavoro iniziato…”
“Assolutamente no! Ho chiesto che i due in questione fossero condotti al mio cospetto in fin di vita. Hai svolto il tuo lavoro con accurata maestria.”
“Per voi questo e altro.”
“Potete andare mio Caronte! Ora godrò in solitudine dei vostri servigi.”
Un inchino e Priyam si congedò con la sua consueta freddezza lasciando il signor Dae in quel luogo angusto. Quattro mura umide e imbrattate dagli escrementi dei piccoli abitanti dei sotterranei, facevano da cornice a quella situazione inquietante: un uomo, due corpi martoriati e una macabra voglia di rivalsa che profumava l’ambiente di morte.
I due amanti erano distesi in posizione supina, l’uno accanto all’altra. Piccole gocce di oro rosso colavano dai lati della bocca di entrambi, una cascata lenta e morbida che concludeva la sua corsa sul collo ancora pulsante. Dae li aveva voluti esattamente così, nel limbo della non morte, in quell’antro in cui il nulla tira la veste per portare l’anima verso l’eterno ma la vita si oppone in una sorta di tiro alla fune. Troppo facile farli fuori. Dovevano assaporare la morte, e Dae voleva gustare il momento catturando i pensieri, gli ultimi dei due maledetti. A chi avrebbero dedicato gli attimi finali del loro spettacolo? Era più forte il dolore per la condotta disdicevole della sua fedigrafa consorte o l’orgasmica esperienza di avere tra le falangi i versi finali di due esistenze volte al termine?
La mano ossuta del nobile iniziò la scoperta del volto sofferente dell’uomo dinanzi a lui ” Non ti vedo mio vigliacco amico ma sento che il dolore ti tiene in trappola, dai raccontami la tua ultima storia e poi con immenso piacere potrai strozzarti con il tuo sangue”. Una risatina beffarda precedette il rigoroso silenzio in cui Dae s’immerse improvvisamente.
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I narcisi si erano rivelati.
Ancora una volta avevano deciso di regalare la loro bellezza raffinata allo sguardo di noi poveri mortali. Il fiore dell’egoismo, il simbolo dell’eccessiva passione per se stessi. Narciso ammirava a tal punto la sua immagine riflessa da innamorarsene e perire per il troppo trasporto.
Amavo quei fiori pazzamente, perché la loro rinascita era il trillo della tua venuta Persy. Avevo un orgasmo ogni volta che vedevo uno di quei fiori aprirsi, come se le tue grazie si preparassero per essere colte dalle mie mani. Sbocciavano ogni Marzo e tu magicamente arrivavi nei tuoi abiti d’organza, tanto leggiadri da uccidere ogni sorta di immaginazione.
La primavera ti portava da me, così mi piaceva pensare. Con te giungeva una carica erotica incontrollabile e così il crepuscolo della libido invernale dell’intero creato si dissolveva, ma soprattutto il mio inverno si scioglieva insieme ai candidi cristalli della neve. Ah Persy cara, mi mandava in estasi vederti arrivare con la tua valigia color glicine e un mazzo di papaveri freschi. Ricordi? Camminavi sinuosa come una pantera per tutte le vie di questo fottuto paese come se le tue gambe nude dicessero ” Ehi bifolchi, sono tornata, fermate ogni cosa e ammiratemi!”
Anni e anni ad attendere quella falcata e a fantasticare su come finalmente avresti ammesso che era il mio sguardo che cercavi . Avrei smesso di spiarti sotto il caldo abbraccio del sole nuovo, furtivo tra le persiane di tua madre e tra i gerani fioriti. Rapivo quei momenti unici dove vezzi deliziosi incorniciavano la tua sensuale natura.
Forse non volevi me, vero?
Forza ora puoi ammetterlo…ah già, ora non puoi.
Fuggivi dall’inferno, da una vita scura come le tenebre. La fredda esistenza che conducevi teneva prigionieri i colori che albergavano dentro di te, questo mi ripetevo.
Eri la mia dea, la dea dei fiori, delle sfumature cromatiche, della forza vitale. Io ti avrei salvata, ti avrei tenuta con me e la primavera sarebbe stata eterna.
Invece mia bella regina quella fu l’ultima nostra stagione felice.
Quando la speranza muore tutto finisce.
A mezzanotte mi ero nascosto tra le foglie di un oleandro bianco, dove un beone di quartiere aveva appena svuotato la vescica. Ero affranto e incazzato. Attendevo la tua figura e quella del bastardo che avevi invitato con la voce di una gatta in calore ” Vieni a mezzanotte tra le camelie in fiore. Non te ne pentirai.”
La dea del piacere devota a chiunque. Ecco cosa eri.
Nuda, vestita solo della brezza notturna che immagine sublime! Aspettavi un altro, tra i petali profumati di un prato vivo in tutta la tua bellezza. Un’ anima venduta, una meretrice, una lurida puttana! La primavera che giungeva con te era quella del peccato originale. Un’orgia collettiva che saziavi e ti saziava senza freni, ripulita dai colori innocenti dei fiori appena sbocciati. L’amore per te Persy svanì come una bolla spinta dal vento in quell’istante, non meritavi nulla.
” Chi sei? Mi stavi spiando?” Per nulla stupita ma evidentemente eccitata mi hai subito invitato al tuo teatrino sconcio. Poi il nulla. Un dolore acuto al collo, una lama fredda e impietosa ha fermato il creato. Ero già morto mia cara, mancava l’ufficialità.
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Un sogghigno mefistofelico disegnò una luna festosa sul viso del signor Dae. Chi era il terribile nemico ladro di amore che aveva corrotto la sua dolce consorte?
” Un povero idiota intento a masturbarsi mentre la spiava annusando fiori! Muori per questo amico, senza neppure averla avuta, mi fai quasi pena. Grazie per i tuoi pensieri.” Le dita smunte del marito affranto si conficcarono nella ferita aperta, nascosta dal colletto della camicia, che aveva inciso la carotide con precisione chirurgica. La lesione mutò in uno squarcio profondo che permise all’uomo di aprire letteralmente la vittima consentendo allo sterno di rivelare la sua magia interna. Con una ferocia inaudita Dae si accanì su quel corpo, come un leone nella foresta in preda a un istinto primordiale. Organi interni venivano estratti senza pietà e gettati sul terreno grezzo di quella cella come frattaglie da un tacchino natalizio, un livore insano che dal buio di un’esistenza senza luce stava chiedendo vendetta.
Sudato e affaticato Dae tentò di ripulirsi le mani imbrattando il pesante tendone che stava alla sua destra, dandogli l’aspetto di un consumato sudario. ” Persy, dove sei? Tocca a te! Luce dei miei occhi canta le note dei tuoi ultimi attimi , a chi li dedicherai?” Con cautela l’uomo avanzò nella sua notte perpetua cercando le fattezze di Persy. Non dovette fare molta strada, lei era riversa a terra appoggiata alla sua cascata di riccioli neri con un candido lenzuolo che copriva timidamente il suo corpo inerte. Gli artigli insanguinati affondarono nella criniera corvina della dea.
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Uomini sconosciuti che rivendicano la mia anima e il mio corpo. Che incubo è mai questo? La mia primavera è il caldo abbraccio dei petali nuovi, il profumo della clorofilla densa e sensuale nella sua colata vitale e tu amore della mia esistenza. Dae.
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“Noooo, cosa ho fatto? Perdonami, stupida mia gelosia maledetta! Volevo la tue liriche di marzo solo per me, vecchio custode di un inverno continuo! Mia solo mia, sempre mia.”
La morte sopraggiunse fulminea. Nessuna ferita, nessun bagno di sangue rivoltante, solo un dolore lancinante che portò via con sé in un solo gesto gelosia, rancore, affetto e amore. Gli erano bastati pochi ultimi impulsi nervosi della sua amata.
Pryam trovò uno spettacolo spettrale davanti ai suoi occhi, un mattatoio nauseabondo degno di un branco affamato in una radura sperduta. Avanzando tra le mollicce presenze sul terreno, il complice di quel dramma si diresse verso il suo signore, riverso esanime sul pavimento. “Vede mio caro Dae, il problema non è la fedeltà in sé ma l’idea scellerata che ognuno se ne crea. Lei è stato uno scellerato fino alla fine.”
La dea aprì i suoi occhi, azzurri come il cielo di primavera e incrociò lo sguardo di Caronte. Tutto era andato liscio, il prato di camelie li attendeva.
Nadia Cortese
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