“I quattro dell’Apocalisse” di Lucio Fulci (1975)
Regia: Lucio Fulci. Soggetto: Francis Brett Harte. Sceneggiatura: Ennio De Concini. Fotografia: Sergio Salvati. Musiche: Fabio Frizzi, Franco Bixio, Vince Tempera. Produzione: Ermanno Donati, Giulio Sbariglia. Casa di Produzione: Coralta Cinematografica. Genere: Western (crepuscolare). Durata: 105’. Interpreti: Fabio Testi, Lynne Frederick, Michael J. Pollard, Harry Baird, Tomas Milian, Adolfo Lastretti, Donald O’ Brien, Bruno Corazzari, Giorgio Trestini, Lorenzo Robledo.
I quattro dell’apocalisse è un film che va oltre il genere western. Lucio Fulci dirige da par suo una storia sceneggiata da Ennio De Concini – ispirata ai racconti di Francis Brett Harte -, anche se non c’era feeling tra i due autori. Il regista avrebbe modificato il copione, così ha confidato in molte interviste, seguendo l’ispirazione del momento. La storia vede protagonisti quattro disperati: un giocatore professionista (Stubby – Testi), una prostituta incinta (Bunny – Frederick), un ubriacone (Clem – Pollard) e un pazzoide nero (Bud – Baird). Tomas Milian è il bandito messicano Chaco che imperversa con violenze gratuite durante l’odissea nel deserto dei quattro banditi, sbattuti fuori di galera dallo sceriffo (O’ Brien). Il film è un indefinibile coacervo di generi, come piaceva a Fulci: splatter, thriller, horror, melodrammatico, romantico, western crepuscolare. Il terrorista dei generi si sbizzarrisce narrando per immagini una discesa negli inferi di quattro avanzi di galera, dopo l’incontro con Chaco, esibito come massacratore di uno sceriffo, scuoiato vivo, con la stella infilzata nella carne nuda del petto. Chaco droga tutti con il peyote, violenta la prostituta incinta e ferisce a una gamba l’ubriacone; subito dopo sboccia l’amore tra il giocatore professionista e la donna. Horror cannibale nella città deserta, con il nero schizofrenico che vaga nudo tra le tombe di un cimitero, parla con i defunti e prima di seppellire l’ubriacone (morto di cancrena) serve ai superstiti (inconsapevoli) un pezzo della sua gamba come macabro pasto. Il folle resta da solo nel paese deserto, spiando la partenza di Stubby e Bunny – in una soggettiva inquietante, come fosse un thriller – tra le assi sconnesse di case cadenti. Parte romantica con l’amore tra la prostituta e il giocatore, persino melodrammatica con la sua morte di parto e un po’ lacrima movie quando il bambino viene lasciato nel paese dei cercatori d’oro, allattato da un’asina e adottato dai rudi pistoleri dal cuore d’oro. Regolamento di conti finale tra Stubby e Chaco con vendetta cruda e spettacolare, vera e propria catarsi per le malefatte commesse dal messicano. I quattro dell’apocalisse è un western crepuscolare, decadente e violento, efferato e romantico, nostalgico e crudele. Tutte le convenzioni del genere sono rispettate in maniera originale, tra eccessi di violenza esibita senza mezzi termini (secondo lo stile di Fulci), sangue e gore (più che splatter), con insolite sequenze ai limiti del consentito. Si pensi al pistolero ubriacone che accetta di fare il cane per un goccio di whiskey, quindi si fa pisciare il liquore in bocca, ma anche allo scuoiamento del nemico e alla parte del pasto cannibale. Tutte cose inconsuete in un western, pur crepuscolare, al punto che il film viene vietato ai minori di anni 18 (derubricato ai 14, in tempi successivi). Circola ancora un vecchio master – mandato in onda da Cine 34 il 28 marzo 2020 nella serie Western all’italiana – tagliatissimo, mozzato del finale, al punto di renderlo incomprensibile. Imperdibile, ma soltanto visto in edizione rigorosamente uncut.
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