Cristian Palmas – Il guru
Tutto ciò che sapete è falso.
Così apriva le sue prime conferenze – conventions, avrebbe corretto lui – Leonardo Pozzobon, con il titolo del suo primo libro che lui, con narcisistico orgoglio, definiva un saggio. Laureato in economia e marketing, imparò subito ad approfittarsi dell’ignoranza del prossimo, attraverso tecniche di PNL e comunicazione persuasiva, prima proponendo mutui impossibili e poi inutili assicurazioni. Tuttavia, il suo ego grandioso, nonostante i lauti guadagni, sanguinava per l’odio che nutrivano per lui le sue vittime: capì di dover sfamare il suo orgoglio più del suo ingordo portafoglio, far sì che lo amassero, anzi lo adorassero; e per associazione, gli venne in mente il Messia: essendo il suo narcisismo sì patologico ma non così smisurato, si accontentò di un più modesto lavoro da guru.
Per cominciare, scelse il nomignolo «cazzuto» “Leon” (in onore del protagonista dell’omonimo film di Besson, il suo preferito) per divulgare video che attraessero fedeli sui social media; iniziò a studiare, con costanza e dedizione, tutte le tesi complottistiche più in voga e stilò una classifica di quelle più convincenti e partecipate da parte del “popolo del web”, analizzandone, con perizia da professionista, la sfiducia pregiudiziale nei confronti di qualunque esperto, professore, tecnico o politico: concluse in modo approssimativo che gli Italiani bramavano una verità alternativa e indipendente e che lui avrebbe potuto confezionarla su misura per loro.
Per preparare ciò che umilmente battezzò «la verità» – ma che più onestamente bisognerebbe chiamare gurusofia –, gli bastò versare in un calderone le principali nozioni di meccanica quantistica e scienze sociali – per dare il giusto sapore di scientificità – e impastarle per bene con le migliori idiozie condivise (che oggi – in spregio della lingua e della cultura italiana – sono chiamate fake news). Lasciò lievitare l’impasto per mesi, rielaborandolo di continuo su quaderni, fino a quando non fu pronto per infornare nella tipografia il suo primo (chiamiamolo) saggio; nel contempo, a cadenza settimanale, distillò il suo delirante sapere in video di tre minuti per creare il pubblico di lettori. Appena prima dell’uscita del volume, aveva già centinaia di seguaci pronti non solo a lavorare per lui gratis nell’organizzazione di conferenze ma a pagargli anche tutte le spese per sale, attrezzature, vitto e alloggio – che Leon ebbe l’accortezza di gonfiare ben al di sopra del necessario.
Dopo un biennio di fruttuosi guadagni e di grandi successi a spese dei suoi fedeli, grazie anche all’attacco dei media nazionali che lo avevano trasformato in «martire per la verità», ebbe i fondi per uno staff di consapevoli e avveduti complici della truffa (non stolti adepti) e per il suo secondo capolavoro gurusofico, Politica è verità, con il quale avviò un nuovo ciclo di conferenze – per i posti delle quali era necessario prenotare almeno un mese prima, per essere certi di parteciparvi, tanto era il fervido calore dei proseliti. Però, accadde un giorno che un miscredente osò sfidarlo.
Esculapio Ferruti, insegnante di matematica e fisica, era un «uomo di Sinistra» che mai si sarebbe iscritto a «quel partito di Destra del PD» ma che denigrava lo spezzatino in tanti piccoli bocconcini delle anime della Sinistra italiana. Persona colta e razionale, gli era stato suggerito da un conoscente – a quanto pare, senziente – di andare a «una convention di Leon Pozzobon, un pensatore visionario»; in astinenza grave da nuove idee politiche (considerato il panorama nazionale) e non conoscendo quel decantato genio, aveva deciso di seguire il suggerimento.
Di fronte alla mole di stupidaggini filosofiche, citazioni sbagliate (che Esculapio conosceva alla lettera), mostruosità scientifiche che gli strapparono risate malviste da alcuni vicini di poltrona, e palesi e tendenziose manipolazioni alle quali «soltanto un coglione» – come diceva tra sé – avrebbe potuto abboccarvi, l’insegnante decise di disconnettere l’udito da quel monologo pazzoide, in parte divertito e in parte scorato dal tanto seguito che Leon aveva; e si concentrò sulle facce intorno a lui, per comprendere dai volti e dai corpi in quanti gli dessero davvero retta: si rese presto conto, con sarcastico orrore e sardonica delizia, che praticamente tutti pendevano dalle labbra di quel gaglioffo dalla bella parlantina – «mai visto uno raccontare in modo così convincente un così vasto oceano di cazzate!» commentò Esculapio sempre dentro di sé.
“Molti mi chiamano guru”, stava recitando a un certo punto Leon, con artefatta umiltà, “ma dico sempre che sono soltanto una persona che ha imparato cosa è la verità. E non sono qui solo per raccontarvela ma anche per una missione più alta”, concluse facendo una studiatissima pausa per aumentare il livello di attenzione – perfino l’insegnante fu indotto a guardarlo in volto in attesa della rivelazione.
“Sono qui per distruirvi”, dichiarò scandendo lentamente il neologismo, affinché il pubblico non lo confondesse con “istruirvi”. Quella frase fu un cazzotto allo stomaco di Esculapio, il cui animo colto lo mise in guardia da un pericolo gigantesco.
“Avete capito bene: distruirvi”, proseguì quindi Leon. “Distruire non esiste in italiano. E sapete perché?” chiedeva retoricamente puntando l’indice prima all’uno e poi all’altro come se li stesse davvero interrogando. “Perché il potere vi impone un’istruzione che in realtà – non smetterò mai di spiegarvelo! – non vi insegna nulla, vi riempie di nozioni e conoscenze false, contrarie alla realtà, affinché siate degli stupidi ignoranti che i poteri forti possono usare come marionette”, e mimava un’andatura da pupazzo. “Per questo è fondamentale la distruzione. Ma non nel senso di rompere qualcosa, no, è quello che vi vogliono far credere loro! No, distruzione nel senso vero e unico della parola, il significato antico che hanno voluto cancellare per potervi raggirare!”
Il tono di voce di Leon si elevava sempre più, appassionato e rabbioso, con l’assenso di numerose teste che sollevavano e abbassavano il mento ripetutamente; mentre Esculapio lo stava squadrando con occhi sempre più terrorizzati, quasi come fosse di fronte a un violento criminale.
“Distruzione significa De-istruzione. Distruire significa annullare gli effetti dell’istruire, compiere il percorso opposto, perché ciò che vi hanno insegnato è tutto falso, e soltanto attraverso un’operazione di distruzione è possibile aprire le vostre menti alla verità!”
Vi fu un applauso scrosciante indotto da figuranti dello staff – esterrefatto, l’insegnante bollò il pubblico, tra sé, «marionette plaudenti»; mentre il loro guru rifiatava e lasciava liberare tutte quelle energie positive che succhiava come un vampiro: era di quello che si nutriva, intuì Esculapio, della debolezza di quelle menti infragilite da chissà quali vicissitudini umane, che non solo le avevano rese ignoranti ma anche vittime di truffatori come Pozzobon: non poteva stare a guardare; doveva intervenire e mostrare a tutti, con il sacro potere della razionalità, che Leon mentiva e li raggirava – solo così era certo che avrebbe salvato quegli sventurati obnubilati dalle grinfie di quel parassita.
Il momento giusto per agire venne all’inizio del dibattito. Esculapio si presentò, sottolineando che insegnava fisica, e chiese la parola anticipando tutti. Assertivo e pacato, confutò tutte le false nozioni di meccanica quantistica propalate da Leon e fece a pezzi con grande facilità le ridicolissime conclusioni di quel farabutto; il quale, durante i dieci minuti di intervento dell’eroe, aveva le labbra tiratissime in un sorriso forzato e fallace, manifestando ogni tanto uno sprezzante disaccordo unendo ritmicamente il pollice alle altre dita della mano destra, rivolta verso il basso all’altezza del suo volto – gesto ben gradito dagli insofferenti adepti, qualcuno dei quali accusò l’insegnante di parlare troppo e di volersi esibire per invidia del loro maestro. Esculapio concluse il suo sermone senza farsi distrarre né dalla maleducazione del cialtrone né dal montante brusio di disapprovazione – fu sconvolto dall’aver solamente contrariato il pubblico, invece di risvegliarlo dal torpore intellettivo in cui era sprofondato.
Quando fu il turno di Leon, bersagliò l’ingenuo insegnante con una raffica diffamante: perfetto esemplare di rappresentante delle istituzioni che raggiravano la gente; inconsapevole manipolatore a sua volta manipolato; che giudicava «i consapevoli» – così Leon chiamava i propri adepti – come stupidi; sibilò anche il sospetto che fosse un «infiltrato dei poteri forti» per sabotare dall’interno i gruppi che, come loro, lottavano per la verità – accusa che appiccò un’inarrestabile incendio nel pubblico.
Esculapio – sì eroico ma non con la vocazione al martirio – abbandonò celermente l’agone, accompagnato alla porta da un concerto di applausi polemici e sonori fischi, prima che si concretizzassero le pesanti minacce che gli scrosciavano addosso con gli insulti.
Cristian Palmas
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