“Amore tossico” di Claudio Caligari
Amore tossico (1983)
di Claudio Caligari
Regia: Claudio Caligari. Soggetto e Sceneggiatura: Guido Blumir, Claudio Caligari. Consulenza scientifica: Guido Blumir. Fotografia: Dario Di Palma. Montaggio: Enzo Meniconi. Musiche: Mariano Detto. Edizioni Musicali: Triple Time. Canzoni del tema:Acqua azzurra acqua chiara (Mogol – Battisti), Per Elisa (Battiato – Pio – Visconti). Aiuto Regista: Stefano Oddi. Operatore alla Macchina: Roberto Di Palma. Assistente Operatore. Antonio Scaramuzza. Fotografo di Scena: Carola Saltamerenda. Fonico: Roberto Alberghini. Microfonista: Antonino Pantano. Trucco: Teresa Cicchetti, Enzo Baraldi. Segretario di Produzione: Paolo Trotta. Consulenza Medica: dr. Antonio Severini. Amministrazione: Maria Lavinia Gualino, Gian Luigi Bruni. Assistente al Montaggio: Francesco Malvestito. Capo Squadra Macchinisti: Luciano Micheli. Capo Squadra Elettricisti: Luciano Michisanti, Franco Brescini. Macchine da Presa: Arco 2 srl. Mezzi Tecnici: Tecnica Cinematografica srl. Sonorizzazione: Internazionale Doppiaggio. Sviluppo e Stampa: Cinecittà spa. Ispettore di Produzione: Bruno Tribbioli. Scenografia e Costumi: Lia Morandini, Maurizio Santarelli. Organizzatore Generale: Roberto Giussani. Casa di Produzione: Iter International spa. Produttore. Giorgio Nocella. Durata: 96’. Genere. Drammatico, droga movie. Interpreti: Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Clara Memoria, Dario Trombetta, Loredana Ferrara, Mario Afeltra, Fernando Arcangeli, Gianni Schettini, Mario Caiazzi, Silvia Starita.
I droga movie sono un sottogenere cinematografico interessante che ha caratterizzato gli anni Ottanta del cinema italiano. Il primo film di questo tipo è Tunnel (meglio noto come Eroina), girato da Massimo Pirri nel 1980 e presentato al Festival di Venezia nello stesso anno. Nelle sale si vedrà solo tre anni dopo, in una nuova edizione. Interpreti: Helmut Berger, Corinne Cléry, Marzio C. Honorato, Franco Citti e Francesca Ciardi. Il film tenta di costruire uno spaccato sociale romano mostrando i tossici dei primi anni Ottanta, ma gli attori sono professionisti e l’idea del regista sarebbe quella di dipingere la fine di una generazione utilizzando il volto distrutto di Berger. L’esperimento riesce fino a un certo punto. Si racconta la storia di uno spacciatore in fin di vita (Berger), di una bella ragazza abbastanza ingenua che si droga (Cléry) e di un bieco Honorato. I tre vivono su un autobus tra droga e sesso, crisi di astinenza e spaccio di stupefacenti, fino al tragico finale. La scena più sconvolgente della pellicola è quella che mostra una pera nell’organo sessuale della Cléry.
Amore tossico, girato nel 1983 da Claudio Caligari, è il vero film cult in tema di droga movie, un’esperienza singolare di pellicola realistica girata in presa diretta. Il film è ambientato a Ostia nel mondo dei drogati e descrive la quotidiana caccia alla roba da parte di un gruppo di amici. Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Loredana Ferrara e Clara Memoria sono tutti attori non professionisti, soprattutto ex drogati. Recitano le parti dei personaggi con i loro nomi di battesimo e utilizzano un linguaggio trucido da borgatari che costituisce un mix riuscito di dialetto romanesco, gergo della malavita e del mondo dei tossici. I rumori di fondo tipici di un film inchiesta completano il quadro, al punto che – pur trattandosi di fiction – sembra proprio che gli attori recitino scene della loro vita. Non è così, ma di fatto interpretano un mondo e compiono dei gesti che conoscono molto bene, quindi risultano impeccabili nella finzione scenica. Vediamo l’acquisto delle siringhe, dei limoni, della droga, una scena veritiera dei tre amici che preparano la dose e se la sparano in vena. I protagonisti sono ex drogati, la condizione delle loro vene lo dimostra a sufficienza, così come è realistica la parte in cui vomitano dopo aver preso la dose. Vediamo il gruppo di tossici alle prese con il metadone e il servizio sociale che tenta di recuperarli, le sedute psicologiche e le rapine per procurarsi la roba. La sequenza con Loredana che si spara un’endovena nel collo è realistica e ben interpretata, ovviamente nella siringa c’è acqua distillata al posto di eroina bianca. Il linguaggio del film è un’altra perla da segnalare: uno schizzo (una dose), uno strappo (uno scippo), una chiusura (un furto), svoltare (comprare la droga e farsi), la spada (la siringa). Si racconta la prima volta che ci siamo fatti di cocaina, quasi come se si parlasse del primo amore, e la prima pera è vissuta in modo romantico. Il film è girato come un documentario, freddo e glaciale nella prima parte, al punto di scuotere i benpensanti convinti che sul set si faccia sul serio. Si parla di uso e spaccio di droga come se fosse la cosa più normale del mondo, si esibiscono transessuali e prostitute che si vendono per comprare la dose, si punta l’indice accusatore su papponi e sfruttatori dei tossicodipendenti. Un protettore sfrutta le drogate in crisi di astinenza, promettendo dosi in cambio di prestazioni sessuali alle sue dipendenze per clienti selezionati. Una scena molto trash vede un travestito innamorato di Cesare che avvicina due suore vestite di bianco per scandalizzarle: “Ma perché me piace tanto er cazzo? Le dia una palpatina, sorella…”.
Alcuni ex drogati raccontano la calata negli inferi del mondo della tossicodipendenza e la preparazione delle dosi è descritta in modo particolareggiato: cucchiaio, accendino, filtro, siringa e penetrazione in vena. I due protagonisti innamorati (Cesare e Michela) parlano di smettere ma non ce la fanno e quando decidono di farsi l’ultima pera è troppo tardi. La coca, presa come ai vecchi tempi, iniettata in vena sotto il monumento in memoria di Pasolini, produce il danno irreparabile.
La seconda parte del film è troppo drammatica, finisce per scadere nel banale con la sequenza della overdose di Michela davanti al monumento di Pasolini. La scena è così tecnicamente ben realizzata da sembrare vera, anche se i flashback romantici di Cesare risultano eccessivi. La corsa all’ospedale è inutile, i medici tentano di salvare la ragazza ma c’è poco da fare mentre Cesare disperato ricorda il passato. Il fallito suicidio di Cesare a Ostia, la sua corsa di nuovo verso Roma, la polizia che uccide il protagonista, completano il quadro di una conclusione troppo melodrammatica. La prima parte della pellicola, invece, è ben sceneggiata ed è credibile come se fosse un documentario nel mondo dei tossici, realizzato da Caligari e Blumir.
La critica non è uniforme. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Fenomenologia dell’uso e dello spaccio della droga girata con stile documentaristico e interpretata da drogati autentici, che cede in un finale banalmente drammatico. La regia vorrebbe essere distaccata, ma è tanto piatta che rischia di essere voyeuristica (le scene nell’endovena nel collo)”. Morando Morandini (due stelle e mezzo): “Ambientato a Ostia e dintorni, è, in chiave di cinema verità, una fiction di cui sono interpreti veri giovani drogati con le braccia trafitte di buchi e di lividi, le fantasie e pulsioni di morte, i comportamenti e le liturgie, il ribaldo vitellismo, la pena e il disordine del vivere, la tetra allegria. Fu definito un film tagliato, come si dice dell’eroina (o del vino), fatto di roba buona (efficace) e di roba meno buona, come nel finale retorico e melodrammatico. Film postpasoliniano per l’ambientazione, l’onesto atteggiamento frontale, il linguaggio disadorno e lucido che nasce dal rispetto e suscita pena”. Pino Farinotti concede tre stelle, valutazione condivisibile, ma si limita a sintetizzare la trama fino all’epilogo melodrammatico della morte di Cesare per mano di due poliziotti che avevano tentato di fermarlo. Marco Giusti (Stracult): “È rimasto un film unico, curioso, assolutamente anomalo. Opera prima di Claudio Caligari sul mondo e sottomondod ella droga a Roma, con veri drogati, quasi tutti scomparsi e finiti male (a cominciare dalla protagonista Michela Mioni per finire con la poetessa Patrizia Vicinelli). Quando uscì a Venezia venne accusato di paolinismo a buon mercato, di dipendenza da troppi padroni – cioè Gaumont e Marco Ferreri che, caso più unico che raro, lo sponsorizzava all’americana – di bassa sociologia. Ma il film ha una forza e un realismo estranei al cinema di quel tempo, perfino nei suoi eccessi. Si sprecano gli schizzi, le scene che vorrebbero essere emblematiche, come il quadro costruito con il sangue dei ragazzi che si bucano, i troppi omaggi a Pasolini (Michela muore a Ostia davanti al suo monumento, Cesare viene ucciso dalla polizia come Franco Citti in Accattone), i flashback sballati. Ma il viaggio da Ostia a Roma in attesa della roba, il trucidume dei primi anni Ottanta è fotografato con un tempismo agghiacciante. Ultratrash, ultrarealistico. Un film perso da molto tempo (ora ritrovato, disponibile in dvd, nda). Caligari tornerà alla regia quindici anni dopo, grazie a un altro regista, Marco Risi, che gli produrrà l’interessante Il colore della notte”. Il titolo corretto della pellicola è L’odore della notte, ma Giusti non può scrivere una voce senza inserire un errore, forse fa parte del suo stile. Roberto Poppi (I Registi Italiani): “Cruda e spietata cronaca della quotidianità disperata di due giovani tossicodipendenti”.
Amore tossico viene premiato al Festival di Venezia come miglior opera prima, riceve un riconoscimento speciale nella sezione De Sica, ed è distribuito con il patrocinio di Marco Ferreri che lo difende da tutte le critiche negative. Riceve anche il Premio Selezione Speciale al Festival di Valencia, mentre Michela Mioni ottiene il Premio come miglior interprete femminile al Festival di San Sebastiano.
Amore tossico è un film singolare, atipico, curioso, che descrive il sottomondo della droga facendo parlare attori estrapolati dall’ambiente della tossicodipendenza. I protagonisti non si sono più visti in altre pellicole e da quel che si legge pare che siano finiti quasi tutti male. Cesare Ferretti, il protagonista principale, pur disintossicato dall’eroina, è morto di Aids il 17 marzo del 1989, come la poetessa Patrizia Vicinelli – nel film interpreta la pittrice che dipinge quadri con il sangue dei tossici – ex Gruppo 63, morta di Aids nel 1991 e Loredana Ferrara (22 settembre 1991). Michela Mioni, la protagonista femminile premiata a San Sebastiano, è ancora viva, ma ha avuto guai giudiziari pochi mesi dopo l’uscita del film. Roberto Stani (Ciopper, nel film) ha continuato a fare l’attore di teatro di taglio pasoliniano, legati al mondo del carcere, ed è morto il 15 luglio 2011, in Africa (dove si trovava per sposarsi), per malaria.
Il regista afferma. “Erano attori non professionisti, scoperti da me e da Blumir nel mondo della droga, alcuni ne erano usciti, altri meno. Era importante che conoscessero bene l’ambiente per conferire realismo alla sceneggiatura, ma dovevano anche essere capaci di recitare. Non fu facile scegliere. Capitava che dovessimo sostituire qualcuno perché arrestato dalla polizia e allora lo rimpiazzavamo con delle comparse somiglianti”. Amore tossico è stato tacciato di pasolinismo a buon mercato e di bassa sociologia. Non condividiamo. Resta un film eccessivo e realistico, forte quanto basta e ricco di scene simboliche. Il quadro costruito con il sangue dei ragazzi che si bucano è un vero colpo di genio del regista. “Questo sì che è un quadro vero. Fatto di vita. Fatto di sangue. Di sangue nostro”, dice Cesare. Un’opera ancora oggi definita di culto che segna per sempre la carriera di Caligari. Inquietante la colonna sonora di Mariano Detto, musica gelida, intensa, psichedelica, interrotta da un paio di canzoni leggere intonate dai tossici: Acqua azzurra acqua chiara e Per Elisa. Fotografia sporca di Dario Di Palma, pellicola quasi graffiata che – insieme al suono in presa diretta e al montaggio compassato – conferisce realismo alla narrazione.
Gli anni Settanta – Ottanta sono il periodi di maggior diffusione della droga pesante in Italia, la stampa affronta il problema, ma in modo soft, senza spiegare i motivi per cui la gente si droga. Caligari e Blumir vengono dal documentario e dalla saggistica sul tema della tossicodipendenza, conoscono a fondo il tema e pongono l’accento su quello che molti non osano dire. Il regista non ha difficoltà a esibire la ricerca del piacere, di un piacere tutto interno e personale, non condivisibile, che gli stupefacenti offrono a buon mercato. Caligari aveva già girato un documentario sull’eroina, con Amore tossico decide di realizzare fiction veritiera, affrontando un argomento che i mediarimuovono sistematicamente. Amore tossico vive anche di situazioni grottesche, ai limiti del comico, immerso nel mondo illegale della periferia romana, recitato da un gruppo di ex drogati che diventano uomini di fiducia del regista. Caligari acquisisce il gergo dei drogati, della malavita e della borgata, scrive un soggetto con l’aiuto dei ragazzi che agiscono come veri esperti, ma si serve anche di un consulente medico per girare le scene con le iniezioni in vena. La sceneggiatura viene modificata ben quindici volte, perché Caligari tiene conto delle critiche del gruppo di ex drogati e vuole realizzare un film che sia un vero spaccato di realtà degradata. “Il mondo della droga è così singolare che solo chi l’ha vissuto può renderlo sulla scena”, afferma Caligari. Il regista è bravo a scegliere ex tossici che sanno recitare e che soprattutto non interpretano se stessi ma una sceneggiatura realistica. Molti critici sono caduti nell’inganno di pensare che Amore tossico sia la vera vita dei protagonisti, mentre si tratta di pura fiction interpretata da attori che conoscono bene l’argomento di cui parlano.
Il regista ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni che sono reperibili tra gli extra del dvd edito da Surf Video – Dnc.
“Fu un film molto difficile da fare. Avevamo scritturato degli ex tossicodipendenti che condividevano l’operazione politica del film, ma c’era il problema che ogni tanto uno di loro veniva arrestato prima di girare una scena. Allora dovevamo ingaggiare avvocati per tirarli fuori, spesso pagare costose cauzioni. Fu una vera avventura, il budget era basso, girammo tutto in un mese. Decidemmo di girare il momento delle iniezioni in vena in modo realistico, con riprese in primo piano, ricche di particolari. Le scene più sconvolgenti erano quelle che mostrano vere iniezioni in vena di sostanza liquida. Non si trattava di droga ma di sostanze disintossicanti e neutre che gli ex tossicodipendenti non prendevano volentieri. La scena di Loredana che si buca nel collo con acqua distillata per simulare eroina bianca è stata realizzata con l’ausilio di un gigantesco specchio fuori campo perché vedesse bene dove doveva infilare l’ago. Il problema di girare le sequenze con iniezioni di finta droga nelle vene fu quello di convincere i drogati a non prendere sostanze tossiche”.
Il film racconta la storia della droga in Italia che comincia a diffondersi con la cocaina e l’anfetamina, per poi passare a eroina e sostanze ancora più letali. Alcune sequenze della sceneggiatura non sono state girate, forse per una sorta di autocensura che lo stesso Caligari si impose. Il taglio consiste in alcune sequenze molto dure che ricostruivano il mondo della droga in carcere. La sceneggiatura non girata narra l’arresto del protagonista che passa una notte in galera con altri tossici, alla fine si vede un drogato che s’impicca in preda a una crisi di astinenza. Dopo il suicidio del tossico il protagonista viene trascinato in un’altra cella da alcuni secondini e riempito di botte. La scena era ispirata a una storia vera, ma la produzione decise di tagliarla – d’accordo con il regista – perché troppo cruda per il momento storico, visto che si parlava di eroina in carcere e di botte inferte dai secondini.
Claudio Caligari (Arona, Novara 7 febbraio 1948 – 26 maggio 2015) è autore di interessanti documentari, soprattutto Perché droga, diretto con Daniele Segre. nel 1975. Ricordiamo altri lavori di impostazione socio-culturale realizzati con la collaborazione di Franco Barbero: Lotte nel Belice, La macchina da presa senza uomo, La follia della rivoluzione, La parte bassa. Tre film a soggetto, ma Amore tossico è il suo lavoro di culto. Torna al cinema ben quindici anni dopo con L’odore della notte (1998), tratto da un romanzo di Dido Sacchettoni, che Roberto Poppi definisce “un film molto ben girato che cerca di riprendere il discorso avviato dal cinema poliziottesco degli anni Settanta, ma con le ambizioni stilistiche dell’autore con la A maiuscola”. Malato da tempo, muore a soli 67 anni. Aveva appena terminato di girare un nuovo lungometraggio: Non essere cattivo, prodotto da Valerio Mastandrea. Speriamo di vederlo presto. I funerali del regista si sono svolti a Roma, il 28 maggio, nella Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo.
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