La maschera – Gianluigi Bodi
Il Natale è una bella occasione per partecipare a un’ennesima carnevalata di cui non sentiamo affatto il bisogno. E se per una volta fosse proprio una maschera a dire davvero chi siamo, a noi stessi e agli altri? Gianluigi Bodi rimastica Pirandello e ce lo restituisce in salsa acida, augurando a tutti buon Natale e felice crisi d’identità a tutti.
La maschera
Era la presa in giro di un’atmosfera natalizia: i festoni degli anni trascorsi, strappati e poi sistemati con lo scotch da pacchi; l’albero ricoperto di polvere che a ogni Natale, qualcuno, estraeva dall’armadio; la segretaria che ci aggiungeva una decorazione fatta con ciò che aveva sopra la sua scrivania: post-it, graffette, nastri di vecchi regali. Una versione incrementale dei Natali passati.
L’ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze il capo ufficio aveva messo la testa dentro la stanza, chiamato a uno a uno gli impiegati.
«Presente», aveva risposto Paolo sottovoce e con rassegnazione, sperando di essere lasciato in pace.
«Oggi c’è il Babbo Natale segreto» aveva detto a tutti e a nessuno il capoufficio, «vedete di stamparvi un bel sorriso sulle labbra sennò vi faccio licenziare». Paolo non sopportava il suo umorismo, aveva digrignato i denti, li aveva sentiti stridere fin dentro al cervello.
Paolo aveva estratto il nome di Irene, la dipendente anziana. Aveva avuto fortuna. Poteva scegliere tra un libro – Irene leggeva molto – o una bottiglia di vino, l’odore che spesso si portava addosso gli faceva credere che bevesse anche molto. Aveva optato per un libro, c’erano meno sottointesi.
Lei aveva visto il pacchetto e aveva capito di che si trattava, aveva strappato la carta e si era lasciata andare a un sospiro di delusione: l’aveva già letto. Paolo non sembrò dispiaciuto, aveva fatto ciò che gli era stato detto di fare e il risultato non lo riguardava.
Quando arrivò il suo turno gli capitò un pacchetto leggero, simile in dimensioni a quello che aveva preparato lui; la carta da pacchi gli ricordava i vecchi sacchetti di pane, scrocchiava. Scostò con delicatezza i due lembi di carta e dall’involucro e estrasse una maschera.
«Ma non è mica carnevale!», urlò uno dei suoi colleghi dando il via a una risata collettiva.
Paolo la tenne con le mani, con delicatezza tra le dita, come se avesse paura di romperla. Fissò gli occhi dipinti sullo sfondo bianco, si trattava indubbiamente di folklore giapponese. Lui non se ne era mai interessato, si guardò attorno cercando di capire chi, tra i presenti, potesse avergli fatto quel regalo. Forse il suo Babbo Natale segreto aveva solo riciclato un regalo. Tornò alla scrivania, appoggiò la maschera sopra la cassettiera. Le labbra rosse formavano un sorriso beffardo. Riaprì il foglio Excel su cui stava lavorando prima dell’interruzione, riempì le caselle di numeri, elaborò alcune formule e a un certo punto si rese conto che non ricordava più cosa gli era stato chiesto di fare. Sapeva vagamente che quei dati servivano per predire un parametro futuro. Cosa sapeva lui del futuro? Forse quando sarebbe andato in pensione? Tornò a guardare la maschera. Non riusciva a capire se si trattasse di un uomo o di una donna; non riusciva a capire se gli piaceva l’espressione che gli stava rivolgendo, sembrava irriderlo. Perché avrebbe dovuto?
Si dedicò ancora al foglio Excel, inserì numeri a caso, poi passò ai caratteri Ascii, e chiuse senza salvare. Raccolse la maschera dalla cassettiera, la voltò accorgendosi che sul retro era stato fissato un elastico. Alzò la testa, nessuno lo stava guardando; nessuno tranne la maschera.
La indossò. Si alzò in piedi.
«Con quella roba in faccia sei molto più bello», disse qualcuno.
Uscì dall’ufficio, lasciandosi dietro gli sguardi dei colleghi, prese il corridoio stretto e buio e arrivò davanti all’ascensore. Le porte si aprirono e ne uscì il direttore che lo guardò sorpreso. Non gli disse nulla. Paolo entrò nell’ascensore, la porta si chiuse e nessuno lo vide più.
Gianluigi Bodi
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