Vincenzo Trama – Le panchine di Rozzano – di Valter Boscarello
Valter Boscarello
Le panchine di Rozzano
7 dicembre 1976, la contestazione giovanile dalle periferie all’assalto alla Prima della Scala
Prospero Editore – 156 pagine – Euro 15,00
Mi sta a cuore parlare de Le panchine di Rozzano, specie ora che ci sono distante e mi scopro così nostalgico e visionario; se sento una tortora tubare mi rivedo ragazzino al parchetto in compagnia degli amici. Muti, ma pieni di discorsi. Se dalla playlist mi sguscia fuori un pezzo dei Deftones eccomi sulla strada per la 222, in mezzo alla bruma e con la paglia in bocca, ingoiando un’alba gravida di speranza (nel mio piccolo della periferia ne parlo QUI ).
Insomma, invecchio. E invecchiando mi chiedo cosa e come faranno tutte quelle altre centinaia di ragazzini che come me cresceranno nella loro personale periferia sud di Milano, ora che le cose stanno un po’ così: stritolati dai social, con un governo nero come gli incubi e prospettive per il futuro tendenti all’apocalittico.
Ci vorrebbe un bel po’ di coscienza in più, quella che in trent’anni ci siamo fatti sottrarre in nome di non so quale tecnocrazia digitale, che ci ha ammansiti e tolti dalle piazze, o meglio dalle panchine, come ricorda questo gran bel libro di Valter Boscarello.
Militante attivo sin dai suoi primi anni di scuola, è uno dei fondatori della rete Memoria Antifascista. Con Prospero Editore ha pubblicato una sorta di memoriale della sua esperienza personale – di fatto poi collettiva – che narra degli anni immediatamente successivi al ’68 fino alla contestazione giovanile alla Scala, il 7 dicembre 1976.
La bellezza di questo libro sta nella ricostruzione storica di un periodo in cui la città metropolitana non era che un’espressione fumettistica alla Paperon De Paperoni: esisteva la città, Milano, e poi la periferia, entro i cui confini ci trovavi di tutto: immigrati, mafiosi, delinquenti e gente che cercava di sbarcare il lunario, abbattendo i costi con una vita ai margini del Duomo. In questo contesto Boscarello racconta di come a Rozzano, oggi godibilissimo comune straservito dal 15 e con l’Humanitas a pulsargli in petto, non fosse altro che un agglomerato di casermoni IACP in cui i ragazzi si rifugiavano a sera immersi nella nebbia, dopo che il tram li aveva scaricati lontanissimo e dovevano sgattaiolare nel cimitero tra Quinto Stampi e Cassino Scanasio per tornare a casa.
In quel nulla in cui però tornano – e da cui provengo tra l’altro io, non distante – emerge forte il desiderio di rivendicare qualcosa di più; mezzi pubblici, case, e anche svago. Sorge così spontaneo un Circolo giovanile nel quale confluiscono le vitalità dei ragazzi di quegli anni, che quasi automaticamente si fanno – e non potrebbe essere diversamente, visto gli anni – politica attiva. Ed ecco tutta una serie di capitoli illuminanti, sempre introdotti dai titoli di canzoni manifesto – La ballata del Pinelli, Stalingrado, Rigurgito antifascista, tra le altre – che declinano proprio quel bollore giovanile che dalla periferia si abbatterà fin dentro la città, mordendola alla gola. Ecco quindi che scuola, posto di lavoro e quartiere sono riconosciuti come luoghi in cui si vive e si respira comunità; o ancora ecco che la cultura alternativa introduce al femminismo, alla musica e ai concerti, alle autoproduzioni clandestine, al riconoscimento del diverso. Conquiste ottenute con la condivisione di spazi e idee, spesso occupati, in nome di una affermazione di sé e dei propri diritti che oggi ci sembra quasi impossibile che i nostri giovani possano non dico ottenere, ma proprio chiedere. Legittimamente, tra l’altro.
Certo, non vengono nemmeno omesse le ombre di questi anni: il buio dell’eroina, piaga che ha dilaniato milioni di esistenze, e di cui in troppi negano ogni tipo di responsabilità. Oppure il fallimento della sesta edizione di Re Nudo, nel 1976, che porterà giocoforza i movimenti giovanili piano piano a sciogliersi, lasciando spazio purtroppo a modelli e stili culturali più appariscenti e meno significativi, in quello che sarà poi il comodo alveo per l’universo Fininvest.
Un libro denso, che è molto più di un resoconto o di una testimonianza. È voce viva, che mira a smuovere qualche altra voce che pensa di non averne affatto.
Alla fine è come ritornare a casa ancora una volta, nel buio pesto di una notte che in periferia è molto più buia. Avete però questo libro per farvi luce, evitate per una volta la torcia dello Smartphone. E se vi capita, magari, fermatevi su quella panchina lì, in quel parchetto là. No, non scrollate niente. Aprite il libro, non necessariamente questo. Che dici, giovane? Che succede?
Vincenzo Trama
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