Ernest Hemingway, l’eroe che blandiva la morte
Il 25 Agosto 1944, il giorno in cui Parigi venne liberata dai nazisti, un giovane soldato indeciso riguardo alla propria carriera letteraria, sottopose il proprio manoscritto allo scrittore Ernest Hemingway. Nel leggere quel manoscritto, lo scrittore rimase folgorato e incoraggiò il giovane a scrivere ancora, poiché, se avesse smesso avrebbe privato il mondo di un talento raro e inoltre quello di scrivere era, secondo lui, un dovere morale. Quel giovane soldato era J. D. Salinger.
La figura di Ernest Hemingway è strettamente legata a tutte quelle attività che lo rendevano ciò che era: un eroe tanto coraggioso quanto umano. Egli era notoriamente un amante dell’ideale di uomo che dimostra il proprio valore superando le sfide della natura e dell’eroismo in sé per sé praticato dalle grandi personalità storiche del tempo, come Gabriele D’Annunzio, per il quale provò una sorta di amore-odio nei suoi confronti, che è possibile ravvisare nel suo romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi, pubblicato nel 1950.
La passione per la battaglia, l’arena e la caccia lo spinse a creare delle opere immortali, tutt’ora apprezzate dai posteri. Ma realmente lo scrittore americano proiettò ciò che lo rendeva Ernest Hemingway sui suoi personaggi? Realmente quello sfarzo nell’esibire la propria virilità a tutti i costi (anche salati), pur vivendo in una voragine di insicurezze e paure, è possibile percepirlo sui suoi romanzi e racconti? Sì e il risultato fu strabiliante. Basti pensare al protagonista di Per chi suona la campana, romanzo pubblicato nel 1940. Robert Jordan è un giovane che decide di sacrificarsi per abbracciare la causa partigiana in Spagna e nel bel mezzo della guerra, decide di vivere quel poco che gli resta amando appassionatamente Maria. Godere l’ebbrezza di quell’amore è l’unico motivo a tenerlo in vita, prima dell’atto estremo ed eroico.
Gli eroi dipinti da Ernest Hemingway sono esseri umani, consapevoli della propria umanità e della propria debolezza. Essi comprendono che i vecchi valori radicati nel cristianesimo e in altri sistemi del mondo occidentale non erano serviti a salvare l’umanità dalla catastrofe e dalla distruzione insita nelle due guerre mondiali. Quello dello scrittore è un modo per esorcizzare il caos in cui viveva e di conseguenza corteggiava la morte nell’arena, in mezzo alle granate, lottando contro i pesci grossi e contro le belve selvagge in Africa, risalendo le vette più insormontabili, per affrontarla e imparare da essa, perché la verità è che la morte insegna a noi tutti a vivere.
Hemingway inoltre sosteneva che è necessario un cupo senso di disincanto insieme a quello della sfida per raggiungere la grandezza, che è tale proprio perché la sconfitta è inevitabile, è insita nella mortalità dell’uomo. Infatti, i protagonisti dei suoi romanzi sono dei vinti, degli sconfitti che nonostante ciò raggiungono la grandezza e il dono dell’immortalità di fronte alle generazioni future. Del resto, come diceva il suo collega ed amico Francis Scott Fitzgerald, “Action is character” ovvero il personaggio è azione ed Hemingway ascolta il saggio consiglio dell’amico e collega creando dei personaggi che in se stessi realizzano l’azione e realizzano anche le proprie aspettative di vita. Un altro interessante personaggio è il colonnello Richard Cantwell, un eroe di guerra pluridecorato e ferito in battaglia. Si tratta di un protagonista che nutre il rimpianto di non essere più giovane e di non poter godere un amore giovane ed energico alla sua veneranda età. Personaggio che avrebbe molto in comune con Santiago, il vecchio pescatore protagonista del romanzo Il vecchio e il mare, pubblicato nel 1952, come ad esempio il fatto di essere entrambi strettamente attaccati alla vita, lottando con la morte fino all’ultimo respiro.
Essendo quasi un’opera testamentaria, Hemingway, in Di là dal fiume e tra gli alberi, decide di dare una sorta di redenzione carnale, terrena a quel protagonista maturo, sfiancato dalla guerra, che lotta con la vecchiaia e la malattia. Dunque, aggiunge un personaggio davvero interessante, cioè Renata. Renata è una giovane donna veneziana che diviene la sua amante e lo spinge a godere di attimi preziosi di vita in una giovinezza quasi sospesa nel tempo. Il nome di Renata è prettamente simbolico e indica la rinascita del colonnello Cantwell. Immaginando che ad un uomo come il colonnello servisse una spalla su cui piangere e una giovane donna sulla quale contare prima di dire addio alla vita, Hemingway crea Renata, che fa pensare a Beatrice che accompagna Dante nel Paradiso e lo guida, lo conforta nei momenti di confusione e lo porta alla rinascita spirituale completa.
Molto noto è lo stile dello scrittore dell’Illinois, basato sulla famosa Iceberg Theory, ovvero la teoria secondo la quale Hemingway pone l’attenzione su elementi apparentemente superficiali , evitando di esprimere in modo esplicito le problematiche affrontate. Infatti, dell’iceberg riusciamo a vedere solamente quell’ottavo che emerge dall’acqua, ma sono i sette ottavi sommersi a dargli forza. Ciò che viene emesso è quello che conta davvero per lui. Con una prosa priva di fronzoli ma piena di enfasi corrosiva e livida, semplice e concisa, Hemingway ricorre all’uso dell’iperbole, una figura retorica che consiste nello sminuire la gravità di una situazione in maniera ironica o per creare un effetto di comicità nascente dal paradosso, e ricorre anche all’uso del cosiddetto flusso di coscienza, ovvero la narrazione di un flusso di pensieri privi di segni di punteggiatura, non così spesso come i colleghi James Joyce e William Faulkner.
Il pessimismo determinato da periodi di depressione nervosa, condusse l’immagine del giovane e virile Ernest Hemingway al tracollo definitivo e crollando la sua immagine, crollò anche il mito della Generazione Perduta, di cui faceva parte insieme a Francis Scott Fitzgerald, Ezra Pound, Gertrude Stein, Sherwood Anderson, John Dos Passos, John Steinbeck e William Faulkner.
Tuttavia, il tracollo della sua persona non gli impedì di pubblicare altri capolavori che gli assicurarono il Nobel e il Pulitzer. D’altronde ben conscio del proprio straordinario talento, Hemingway stesso, in una lettera a Fitzgerald del 28 Maggio 1944, afferma:
“[…] Siamo come dei dannati, schifosi acrobati, ma facciamo salti eccezionali, magnifici, mentre intorno è pieno di acrobati che non sanno saltare”.
Stefania Brivido
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