Stefania Brivido – L’arte della leggerezza nella letteratura
Il concetto di leggerezza per gli antichi greci era strettamente collegato a quella che viene definita καλοκαγαθία e cioè la crasi di due parole fondamentali: kalòs che significa ‘bello’ e agathòs che significa ‘buono’. Questa locuzione racchiude l’ideale di perfezione fisica e morale dell’uomo greco, dotato di virtù esemplare di un grande senso della giustizia. Per realizzarsi, la kalokagathia necessita dell’azione dell’uomo che si concretizza nell’esercizio delle buone qualità, nell’esercizio fisico e intellettuale, nell’esercizio della cura dell’anima. Ma come curavano l’anima i greci? Praticando la gioia e rifuggendo da ciò che provocava angoscia. εὐθυμία è una parola greca che indica la tranquillità dell’animo nel sopportare dolori fisici e morali ed è anche il nome proprio di una divinità minore raffigurata accanto a Zeus e alle Muse. Eufrosine o εὐθυμία è una delle tre Grazie ed è la dea della gioia, della felicità, della bellezza, dell’armonia e della giovinezza. Le Grazie sono strettamente connesse alla natura e alla fertilità e così come per l’uomo greco, la connessione con la natura e la pratica di esercizi che nutrono il corpo e l’anima permettono di raggiungere la tranquillità, la leggerezza dell’anima non più pesante o gravosa di un peso ingestibile.
Perfino Ulisse, uno degli eroi omerici per eccellenza va alla continua ricerca di qualcosa che lo liberi dal peso gravoso della guerra di Troia, dalle disavventure per mare e dalla lontananza dalla famiglia. L’eroe Ulisse dotato di pietas e della forza dell’intelligenza è il simbolo dell’uomo moderno alla continua ricerca di se stesso e di quella leggerezza che lo renderebbe finalmente libero.
Per i cives romani è possibile realizzare la tranquillitas ad bene beateque vivendum contemperando i vantaggi del singolo e della comunità, ma anche l’uomo romano viveva l’angoscia dell’anima alla ricerca di qualcosa di sconosciuto e il trattato di Seneca De tranquillitate animi è il più brillante esempio di dialogo nel quale viene trattata una caratteristica tipica perfino dell’uomo moderno, l’uomo del Novecento e l’uomo degli anni Duemila. La soluzione che dà Seneca, quasi da perfetto saggio-psicologo, è quella di dedicarsi alla propria interiorità rifuggendo da tutto ciò che provoca dolore o stress, come la vita pubblica o come le cose vane e materiali. Tuttavia anche la vita privata causa non pochi affanni all’uomo perciò la misura tra le due cose permette la giusta serenità interiore.
E dalla penna della scrittrice franco-belga Marguerite Yourcenar, emerge che l’uomo che riuscì a collegare la kalokagathia alla tranquillitas fu sicuramente l’imperatore Publio Elio Traiano Adriano, un uomo di potere che amò profondamente l’ellenismo in tutte le sue caratteristiche, che fece erigere monumenti in nome di una grecità recuperata e mai perduta davvero, che studiò la filosofia greca, che venne iniziato al culto dei misteri eleusini. Adriano visse giorni che divennero anni di leggerezza, quasi dimentico del proprio ruolo, insieme all’amato Antinoo, un giovane della Bitinia, incontrato a Nicomedia:
«Di tutti i giochi umani, quello d’amore è l’unico che minaccia costantemente di sconvolgere la nostra anima, ed è anche l’unico in cui il giocatore deve abbandonarsi all’estasi del corpo… Inchiodato al corpo amato come uno schiavo alla croce»
L’amore è uno sconvolgimento dell’anima, ma è anche beatitudine dell’anima per l’imperatore e la morte del giovane amato lo conduce verso una disperazione priva di soluzioni, ma il suo corpo viene imbalsamato dai sacerdoti egizi e i suoi resti vengono depositati in una tomba sotterranea simile a quelle destinate ai faraoni e Adriano ordina di far costruire una città in Egitto in suo nome: Antinopoli.
In anni recentissimi siamo fortemente abituati a leggere testi che riguardano tecniche orientali per rilassarsi, autori di filosofie orientali che spiegano le vie migliori per raggiungere il Nirvana, podcast, video e tanto altro. Ma non spostandoci tanto dall’Occidente quali esempi migliori di leggerezza ci dà la letteratura italiana? Che cosa rappresentava la leggerezza per scrittori quali Pier Paolo Pasolini o Cesare Pavese? In qualche modo è fondamentale tenere presente la dimensione mitica, una dimensione atavica che rappresenta l’obiettivo principale delle opere di questi due scrittori in particolare. Leggendo Atti impuri di Pasolini, si assiste sì ad un romanzo di formazione , sì al racconto di un amore vissuto in modo viscerale tra la paura della morte a causa della guerra e quella leggerezza che deriva dalla ciclicità della campagna, il luogo bucolico per eccellenza e simbolicamente mitico in cui Eros e Thanatos si incontrano.
“Non c’è poro della mia carne dove non tremi questa gratitudine alla vita, questa nostalgia ancora troppo recente per dolere.”
La gratitudine alla vita si coniuga alla leggerezza derivata dai sentimenti e si mescola dolorosamente alla nostalgia di un tempo passato, un tempo passato estremamente desiderato e vissuto intensamente. Un tempo in cui la guerra non era importante, nient’altro era importante se non la leggerezza di quell’amore. Anche Amado mio, secondo breve romanzo di Pasolini, mostra quell’elemento ancestrale di cui la letteratura è pregna; e inoltre l’estate, le spiagge, la giovinezza, i balli e l’ossessione dell’Eros sono topos che appartengono a quella letteratura in cui viene narrato uno stato di leggerezza vissuta e nostalgica. E così come la campagna, la spiaggia e in particolare l’elemento marino rappresenta non soltanto il luogo d’incontro in cui un amore sboccia e viene vissuto, ma è anche il luogo in cui avviene la sublimazione di un giovane amore che durerà per tutta la vita.
E leggerezza della solitudine è quella vissuta da Arturo, protagonista de L’isola di Arturo di Elsa Morante, un romanzo di formazione volto alla scoperta da parte di Arturo del mondo che lo circonda, dell’amore, della leggerezza, dell’affetto, della natura e dei libri sull’isola di Procida:
“Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua”.
E Arturo vive in un’enorme casa in cima ad un monte, la casa dei Guaglioni, cercando di colmare l’assenza di affetto da parte del padre italo-tedesco con le nuotate in mare, i vagabondaggi per l’isola, la lettura dei libri sui condottieri e lo studio dell’atlante per fantasticare su viaggi futuri. Ma come in tutti i romanzi di formazione, il tempo passa e Arturo cresce e così cresce anche lo slancio erotico nella natura dei propri sentimenti, una natura troppo ‘adulta’ da poter essere compresa da un ragazzino. Ma la leggerezza non abbandonerà mai il cuore di Arturo, nemmeno nell’età adulta. E arte della leggerezza per sfuggire al pensiero delle bombe è il Corrado di Cesare Pavese, protagonista del romanzo La casa in collina. Corrado si ritira in una casa sulle colline torinesi, in mezzo alla campagna e lontano dalla guerra che lo circonda. Inizialmente deciso a non prendere nessuna posizione, Corrado rifugge dal pensiero della morte vivendo la propria solitudine in campagna insieme al suo cane Belbo. Tuttavia, la guerra mette presto alle strette l’intera popolazione e il contatto con alcuni amici partigiani, mette Corrado nella condizione di riflettere profondamente: usando un aggettivo gramsciano, Corrado smette di vestire i panni dell’indifferente e si schiera prontamente contro i fascisti. Quella di Corrado è una leggerezza che maschera il timore della morte, della sofferenza, della perdita e di una partecipazione volontaria o involontaria in una guerra mondiale che coinvolge tutti i civili. Perché in fin dei conti quella della leggerezza è un’arte, una pratica costante, un modo di vivere la propria esistenza con il sorriso sulle labbra e la serenità nell’animo. In fin dei conti, quella leggerezza la desideriamo tutti quanti, cerchiamo di conquistarla e forse la raggiungiamo realmente o forse la raggiungiamo solo attraverso la letteratura.
Stefania Brivido
Commenti recenti