Yuleisy Cruz Lezcano – Francisco de Quevedo

Francisco de Quevedo e l’immanenza claustrale del messaggio amoroso nel suo amore non corrisposto


“Cieco sei, Amore, e non

Perché gli occhi ti manchino,

ma perché a tutti costa

gli occhi della faccia. “

Francisco de Quevedo


Francisco de Quevedo (1580-1645)nacque a Madrid il 17 di settembre del 1580 e studiò teologia nell’università di Alcalà. Nel 1606 vennero alla luce diciotto sue pubblicazioni. Nel 1620 apparve la sua prima opera completa pubblicata. Bisogna però dire che sia la vita sia le opere di Don Francisco Quevedo si sono state intrecciate con favole e leggende, che non trovano spesso riscontro reale. Questo è dovuto al fatto che lo stesso poeta e scrittore non ha mai pubblicato le sue opere, quindi gli vennero attribuiti erroneamente anche altri testi.

La vita di Quevedo è un esempio caratteristico dell’ambiente barocco nel quale il poeta visse, con le sue contraddizioni, i suoi paradossi, violenze e tensioni proprie dell’uomo immerso nella vita politica e cortigiana della sua epoca. Non è una biografia quella di Quevedo che si può tracciare in modo univoco, mancano informazioni che spieghino alcuni fatti per posizionarli in maniera adeguata. Emerge però, una personalità conflittuale, pertanto è difficile interpretare il suo comportamento. Perciò meglio puntare l’attenzione sulla sua poesia.

Quevedo come Gòngora compose diversi versi satirici sulla nuova corte. Dai versi di Quevedo emerge un pessimismo esistenziale ed emerge, anche, il concetto poetico nell’essere vivi nella morte, così la sua scrittura ha una profonda radice filosofica e letteraria. Dai testi emerge l’ampia cultura dell’autore, come grande conoscitore e lettore della bibbia. Specialmente, ne “La Providencia” (La Provvidenza) si possono trovare affermazioni fondamentali per meglio comprendere il suo pensiero, che è un pensiero diffuso e sistematizzato nella sua intera opera. Si coglie un focus che mette in relazione la morte e il tempo: il poeta dice “certo è che l’uomo da quando nasce incomincia a morire, e che il piede neonato, che non dare passo nella vita, li dà nella morte; e che la morte ha nel suo potere tutto quello che è successo; e così che nella gioventù muore ed è sepolta l’infanzia, e la gioventù nella giovinezza, ed è nell’età virile , e l’età virile nella consistenza, si trova nella vecchiaia, e la vecchiaia nella decrepitezza: così chi vive di più, è sei volte defunto ed è sepolcro di se stesso. È anche vero per la stessa ragione, che sono rarissimi gli uomini che sanno raccontare le loro vite… si può negare che gli anni vissuti ce l’ha la morte? Pertanto è senza dubbio che la maggior parte della morte la passiamo in risate e feste, e solamente inumidiamo con lacrime il suo ultimo giorno.”

Nella culla (nascita) e nella sepoltura Quevedo condensa la sua esperienza personale, la sua dottrina biblica e lo studio dei filosofi stoici, tra cui si può citare Epiteto. Quevedo pone la dottrina stoica al servizio del Cristianesimo e costantemente considera il bene morale come elemento fondamentale della vita umana.

L’opera poetica di Quevedo è estesa e varia, così come lo è la sua prosa. In tutte due si raccolgono le sue preoccupazioni personali, le sue idee religiose, politiche e filosofiche. Il problema che emerge è la trasmissione. Nonostante quest’autore da molto giovane sia stato un poeta molto conosciuto e le sue poesie circolassero in diverse antologie, non arrivò mai a pubblicare i suoi versi.

Nella sua opera possiamo trovare una grande varietà, si passa dalla poesia amorosa alla poesia metafisica, alla poesia satirico-burlesca e tutte le sue varie facce hanno un valore che trascende. Infatti per quanto riguarda la poesia amorosa, per la sua estensione e qualità potrebbe già da sola, avere dato la fama al suo autore. Di fatto, Dàmaso Alonso lo considerò come il più alto poeta dell’amore della letteratura spagnola.

Due note sono rilevanti di questa poesia e sono l’autenticità dei sentimenti e l’importanza che Quevedo dava all’amore.

Osserviamo questi versi sublimi:


“Voce ha nel silenzio il sentimento:

molti dicono le lacrime che versa.

Bene comprende la fiamma chi l’accende;

e chi causa comprende la rabbia

e chi invia silenzi, li comprende”.


“Voz tiene en el silencio el sentimiento:

mucho dicen las lágrimas que vierte.

Bien entiende la llama quien la enciende;

Y quien loscausa entiende los enoja:

Y quien manda silencios.


Poi leggiamo i versi seguenti: devo dire che i sonetti sono molto difficili da tradurre, date le rime e la musicalità presenti nella versione originale, difficile da riprodurre senza cambiare il senso dei versi.


Il sonetto del dolore più forte dell’amore


Nei chiostri dell’anima la ferita

giace in silenzio; ma consuma affamata

la vita, che nelle mie vene alimenta

fiamme per le sostanze estese.


Beve l’ardore la mia idropica vita,

già, cenere amante e smunta,

cadavere del bel fuoco, ostenta

la sua luce in fumo e notte defunta.


Evito la gente e mi è di orrore il giorno;

dilato in lunghe voci nero pianto,

che al mare sordo la mia ardente pena invia


Ai sospiri ho dato la voce del canto,

la confusione inonda l’anima mia,

il mio cuore è regno di spavento.


(fonte Antologia poetica di Francisco de Quevedo edizione di Ana Suárez Miramon, collana “Clasico Libertarias”, 1998, pag . 160)


El soneto del dolor más fuerte que el amor


En los claustros de l’alma la herida

yace callada; más consume hambrienta

la vida, que en mis venas alimenta

llama por las medulas extendida.


Bebe el ardor hidrópicami vida,

que ya, ceniza amante y macilenta,

cadáver del incendio hermoso, ostenta

su luz en humo y noche fallecida.


La gente esquivo y me es horror el día;

dilato en largas voces negro llanto,

que a sordo mar mi ardiente pena envía.


A los suspiros di la voz del canto,

la confusión inunda l’alma mía,

mi corazón es reino del espanto.


Potete cogliere la perseveranza del poeta nel suo affetto amoroso e il suo eccesso nel patire le pene d’amore. Il poema ci riporta a quei luoghi reconditi, alle viscere dell’anima, dove una ferita consuma silenziosamente la vita che alimenta una fiamma ardente (la passione) che mostra cenere e fumo, il cadavere del bel fuoco. Il poeta, quasi come in lutto, evita l’interazione sociale e la luce del giorno, la comunicazione e la chiarezza, e il suo pianto disperato persiste in esclamazioni di rammarico a cui la persona ferita non presta attenzione. Allora il canto (la voce del canto impossibile) diventa sospiri e le lunghe esclamazioni diminuiscono d’intensità fino a restare solo i resti dell’ardore. La confusione inonda l’anima e il cuore è un regno di paura. Le lunghe voci pian piano sfumano in sospiri soffocati e la ferita consuma la vita in modo tale che il dolore divenga qualcosa di orribile, cioè infernale. In due movimenti, consunzione e diluvio, si spegne la voce del canto, le esclamazioni prolungate e aumentano la confusione, l’intensità del dolore e la lotta interna che tutti gli uomini sopportano per amore.

Sonetto

L’amore mi occupa il cervello e i sensi;

assorto sono in rapimento amoroso;

non mi dà tregua né riposo

questa guerra civile dei nati.


Spiaggiato il torrente dei miei gemiti

attraverso il distretto grande e doloroso

del cuore, nel suo soffrire gioioso,

le mie memorie si annegano nell’oblio.


Sono tutto rovine, sono tutto distruzione,

scandalo funesto per gli amanti,

che fabbricano con pietà le loro gioie.


Quelli che saranno, e quelli che sono stati prima,

studiate la loro salute nei miei singhiozzi,

e invidiate il mio dolore, se siete costanti.


Soneto

amor me ocupa el seso y los sentidos;

absorto estoy en éxtasi amoroso;

no me concede tregua ni reposo

esta guerra civil de los nacidos.


Esplayóse el raudal de mis gemidos

por el grande distrito y doloroso

del corazón, en su penar dichoso,

y mis memorias anegó en olvidos.


todo soy ruinas, todo soy destrozos,

escándalo funesto a los amantes,

que fabrican de lástimas sus gozos.

Los que han de ser, y los que fueron antes,

estudien su salud en mis sollozos,

y envidien mi dolor, si son constantes.

Yuleisy Cruz Lezcano