Vincenzo Trama – Intervista a Sergio Calzone
La piccola editoria spesso è grandissima.
Per idee, coraggio e volontà, non certo per capitali o dati di vendita.
Caronte oggi vi porta a conoscere Sergio Calzone, mente di 96, rue De-La-Fontaine, realtà editoriale mignon, di quelle che piacciono a noi del Foglio Letterario. Artigianale, bianciardiana, che sa di rullo d’inchiostro e crede ancora nel valore immaginifico dei sogni.
1) Sergio, due parole su di te: chi sei, da dove vieni e come decidi di entrare a gamba tesa in questo mondo di squali che è l’editoria.
Mi chiamo Sergio Calzone, viaggio verso i 67 anni e vengo dalla Facoltà di Lettere di Torino (quasi mi vergogno a dire che mi sono laureato nel 1975). Sono quel che si dice uno scrittore mancato, nel senso che, a malgrado diversi tentativi, non sono mai riuscito a “sfondare”, cioè, diciamolo fuori dai denti, a pubblicare con grandi case editrici. Ho lavorato molto per le edizioni scolastiche, ho pubblicato saggi e, presso piccoli editori, anche romanzi e racconti (persino poesie, ma ho capito che non sono ciò che si dice un poeta). Il mio primo contatto con il mondo dell’editoria minore, l’ho avuto ancora da studente, nel 1973, quando sono fortunatamente fuggito da un editore che aveva scritto in faccia la sua inadeguatezza. Ho poi lavorato per alcune case editrici, facendo soprattutto editing, facendo non so quante presentazioni come spalla all’autore di turno, fino a che, disgustato dall’ultima esperienza, ho creato 96, rue de-La-Fontaine Edizioni nel 2015.
2) In tanti anni di attività avrai visto diverse cose cambiare nel mondo editoriale. Qual è stato il mutamento più significativo che hai vissuto, e quale la sua portata?
Se parliamo di moralità, nulla è cambiato: occorre, oggi come ieri, muoversi con “i piedi di piombo”. Se parliamo di tecnologia, un grande vantaggio è venuto dalla stampa in digitale che abbatte i costi e (cosa da non sottovalutare) anche i tempi, specie nelle ristampe. Gli e-books hanno fatto furore ma, negli USA, sono ora in netto calo e, poiché noi imitiamo gli americani con qualche anno di ritardo, c’è da credere che anche qui accadrà lo stesso. Del resto, anche molti giovani iniziano ad apprezzare “l’odore” del libro appena stampato, quello che fa, a noi anziani, cacciare il naso nella profondità della doppia pagina aperta a caso. Gli e-books stanno a un cartaceo come il succo d’arancia al Barolo…
3) Parlando invece di 96, rue De La Fontaine, come nasce questo marchio? Qual è il suo percorso, la sua storia?
Come ho accennato, è nato da un disgusto. L’idea che gli autori siano presi in giro mi ha sempre ripugnato, anche perché, forse, tento ancora e sempre, di essere autore anch’io. Volevo invece una piccola realtà che, con tutti i suoi limiti (che sono quelli, poi, di tutte le piccole realtà, con la sola differenza che noi lo diciamo prima…), avesse come parola d’ordine la trasparenza. Trasparenza nel contratto, certo, ma anche nel rapporto con l’autore. Ci sono editori che definiscono gli autori “clienti”: questo la dice già lunga, credo. Noi, sempre nel nostro piccolo, li trattiamo, se è possibile (alcuni autori, in verità, hanno dei caratteri difficili ma questo è umano e ci sta), come “complici” in un’operazione che li vede sempre al centro del progetto, tant’è vero che, con alcuni, è nato un vero rapporto di amicizia personale. Quanto al nome, è semplicemente l’indirizzo parigino a cui è nato Marcel Proust, il mio autore di riferimento letterario. Però, occhio, non c’entrano le fontane: Jean de-La-Fontaine era uno scrittore del Seicento!
4) Tantissimi scrivono, in pochi leggono. Tu cosa ne pensi?
Che ci dovrebbe essere una legge che impedisca di scrivere più di un appunto per il supermercato a chi non ha letto almeno 500 libri (buoni)!
5) E a proposito di lettura, suggerisci tre libri a tuo modo di vedere assolutamente imperdibili.
Tre soli è davvero difficile. Butto lì: Pascal Quignard, Il salotto del Württemberg, Jean Giono, Le anime forti, Thomas Mann, Carlotta a Weimar. Ma, si capisce, dopo aver letto tutti o quasi tutti i classici! Montaigne, per esempio, che insegna, udite!, l’umiltà…
6) Consigli ad un giovane scrittore: cosa ti senti di dire?
Leggere, leggere, leggere. Non sperare di “vivere di scrittura”. Ricordarsi che giornalismo e letteratura sono due cose diverse: se vuole parlare, per dire, delle crisi in Medio Oriente, cercare nello Storia un momento che possa rimandare a quelle e ambientare lì la sua storia. Ricordarsi che i suoi amori felici o infelici non interessano nessuno: racconti una storia d’amore ma non la sua! E, poi, la vecchia raccomandazione di papà Hemingway: “La narrativa è architettura; non decorazione d’interni”.
7) Editoria a pagamento, self publishing, scuola di scrittura. Tutte facce della stessa medaglia egotica o aspetti differenti del mercato editoriale?
L’editoria a pagamento lascia un senso di vuoto: quando hai il libro tra le mani, capisci che, se avessi voluto pubblicare l’elenco della spesa, sarebbe bastato pagare e sarebbe uscito anche quello. Il self publishing è un po’ malinconico ma, dei tre elementi che hai elencato, è il male minore: il problema è che TUTTI abbiamo bisogno di un buon editing e, se te lo fai da te, non è un editing ma una semplice rilettura… Le scuole di scrittura non ti insegnano a scrivere (nessuno può insegnare a scrivere) ma ti insegnano a mettere insieme una storia che abbia più probabilità di interessare un grosso editore. Però, tra mettere insieme una storia (facendo l’occhiolino al mercato) e fare Letteratura sul serio, be’, ce ne passa!
8) Concludi come vuoi, ti lascio carta bianca per queste righe finali.
Che devo dirti? Sono un cattivo maestro poiché io stesso ho fallito: ho scommesso la mia vita (e non esagero) sull’ideale della Letteratura e, per limiti miei e/o per mancanza di conoscenze, morirò ignorato. Che altro posso dire, se non: pensate a vivere; alla Letteratura, ci pensano i letterati, se ce ne sono ancora…
Sergio Calzone
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