Alessandro Bresolin – Intervista a Valerio Evangelisti
Grazie ad Alessandro Bresolin per la bella intervista a Valerio Evangelisti. Contributi come questi ci aiutano a contestualizzare meglio una stagione letteraria cui Valerio, con tutta la sua mole di collaborazioni, ha contribuito a orientare pur rimanendo spesso in un ‘ombra voluta, ricercata e – sicuramente – goduta. Come tutti i pezzi pubblicati sul Foglio Letterario anche questo è totalmente gratuito: diffondere ai venti, seminiamo tempeste.
L’immaginario in rivolta: intervista a Valerio Evangelisti
di Alessandro Bresolin
Conobbi Valerio nel maggio 1996. Il nostro incontro fu così bello, che ne nacque subito una spontanea amicizia. All’epoca ero studente di storia contemporanea all’università di Bologna e scrivevo i miei primi articoli in alcune riviste militanti e autoprodotte. La passione per la storia e la politica si mischiava ad altre, come a quella per il noir e la fantascienza. Da Bologna avevo cominciato a tenere delle estemporanee cronache letterarie-libertarie per A-Rivista Anarchica. La prima è stata un’intervista a Pino Cacucci, uno scrittore legato al movimento. Ma rimasi folgorato alla lettura dei primi Urania del ciclo di Eymerich pubblicati tra il 1995-1996: Nicolas Eymerich, inquisitore, Le catene di Eymerich, Il corpo e il sangue di Eymerich.
Valerio Evangelisti ebbe un impatto fortissimo sulla scena letteraria dell’epoca. Venerdì di Repubblica gli dedicava articoli e interviste… Ma Valerio, a Bologna, era conosciuto come uno storico brillante a cui era stata negata una carriera per aver sostenuto il movimento della Pantera, come militante di estrema sinistra, e tra i fondatori della rivista Carmilla, l’unica rivista italiana che si occupasse di letteratura fantascientifica e fantastica con una lucida prospettiva politica.
Chiesi a un compagno di Radio K Centrale se era possibile contattare Valerio, che volevo fargli un’intervista per A-Rivista Anarchica e me lo girò in giornata. Valerio mi diede appuntamento al Mutenye, in via del Pratello. Il Mutenye era l’osteria aperta l’anno prima da Sante Notarnicola ancora in regime di semilibertà. Sante, per la legge un sovversivo, un brigatista irrecuperabile e irriducibile, per la Bologna antagonista era un poeta e uno scrittore combattente a cui anche gli Assalti Frontali avevano reso omaggio con il pezzo “La nostalgia e la memoria”, nel loro bellissimo album Terra di nessuno.
Quando Valerio arrivò al nostro appuntamento al Mutenye, per prima cosa ordinò una birra da mezzo a Sante e poi esordì dicendomi: “Non ti preoccupare se ti sembro burbero, è solo apparenza!”, e scoppiò a ridere. Fu un bel modo per stemperare la mia emozione, da parte sua, e cominciammo subito a parlare fitto fitto di Eymerich, di Carmilla, di Storia… Dopo avermi studiato a lungo mi disse: “Va bene, se vuoi cominciamo”. La mia intervista a Valerio venne pubblicata in A-Rivista anarchica nel novembre 1996 [n. 231], subendo numerosi tagli per problemi di spazio e con alcuni refusi imbarazzanti. Valerio ne fu comunque molto soddisfatto, e da allora i nostri incontri bolognesi si moltiplicarono. Ogni tanto assistevo alle riunioni di Carmilla (all’epoca solo in formato cartaceo). Ma Valerio voleva fare qualcosa anche per A-Rivista Anarchica, se non collaborare. Così, durante una chiacchierata gli venne l’idea di far lanciare un appello da parte di A agli autori di fantascienza italiani per strutturare un dossier, su “fantascienza e anarchia”. L’occasione sarebbe stata la ricorrenza del trentennale del ’68. Da lì nacque l’iniziativa “1968/2068: un’ambigua utopia”. Il tema, “letteratura e rivolta”, affascinò subito molti, e le adesioni (Valerio Evangelisti, Francesco Berardi-Bifo, Vittorio Catani, Vittorio Curtoni, Carlo Lucarelli, Luca Masali, Nicoletta Vallorani, Serge Quadruppani e altri ancora) superarono le aspettative, tanto che la pubblicazione del dossier, curato da Laura Di Martino e Giuseppe Vergani, venne ripartita su tre numeri della rivista, da maggio a luglio [A-Rivista anarchica nn. 245, 246 e 247].
Il mese scorso ho tirato fuori dal cassetto il mini-tape originale dell’intervista e l’ho riversato in digitale. Questo è il testo integrale del nostro primo incontro al Mutenye.
La fantascienza è sempre stata considerata narrativa di serie B, di consumo. Solo da qualche anno sta riscuotendo assumendo una sua dignità letteraria, e alcuni dei suoi autori di punta riescono a sfondare la gabbia della classificazione di genere.
Io ho l’idea che la rigida suddivisione in generi sia una cosa destinata a decadere sempre più in fretta. La fantascienza pura forse non è mai esistita, sono esistiti tanti filoni della fantascienza. Comunque la fantascienza cosiddetta pura è stato un fenomeno relativamente circoscritto, cioè legato all’epoca in cui si avevano molte speranze, ad esempio nei viaggi spaziali, nelle missioni esplorative dei pianeti o della luna. Quindi è legata a un momento storico preciso in cui la fiducia nella scienza era assoluta e tutto quello che era scientifico era ritenuto il verbo. Di lì è nata una letteratura che, magari travisandoli o alterandoli, prendeva dei temi scientifici e su di loro costruiva e modellava delle storie. Oggi la società è completamente cambiata. A parte il declino delle missioni spaziali e queste cose qua, è proprio la fiducia nella scienza che sta venendo meno. Non la scienza intesa come ricerca, conoscenza, etc, ma la scienza intesa come dogma di stampo positivistico, qualcosa a cui bisogna obbedire forzatamente. É logico che di fronte a questa crisi, per esempio dimostrata dal fatto che la teoria del big bang, per dirne una, viene tenuta in piedi artificialmente… In realtà è stata in gran parte smentita dalle osservazioni dirette. La teoria del big bang viene tenuta in piedi penso perché giustifica un’idea di Dio, è collegata a un presupposto teologico, ma in realtà è una teoria che viene smentita di giorno in giorno da quello che viene osservato attorno alla terra. Comunque, venendo meno questa concezione così rigida della scienza, anche la letteratura basata su quei presupposti deve necessariamente modificarsi.
Evolvere mantenendo quali caratteristiche? Qual è la parte più vitale della fantascienza?
Io penso che la parte più vitale della fantascienza non è quella semplicemente scienza, e neanche quella solo fantasy. Sta nell’aver impostato un genere letterario sui sogni e sugli incubi legati al progresso scientifico, una letteratura che ha per oggetto non la scienza ma un immaginario legato alla scienza, ai suoi pericoli e alle sue promesse. Io penso che questa parte rimarrà e sia ancora vitale, però il genere è stanco, va rinnovato, e l’unica via di rinnovamento è la commistione, la commistione con altri generi. Nell’ambito della letteratura popolare ci sono stati dei passaggi, dal romanzo di appendice, al poliziesco, al noir fino all’hard boiled, etc. Questa è una evoluzione che deve avere anche la fantascienza. Personalmente non mi ritengo capofila di nulla, ma tu troverai i miei romanzi molto contaminati proprio perché ho questa visione.
I salti temporali che troviamo nei tuoi romanzi sono frutto di questa visione?
I salti temporali in sé sono anche legati a una certa visione scientifica che ho. Più si va a esplorare l’universo in cui viviamo e più si scoprono scatole, incastri, passaggi e strane cose. Le storie complicatissime che metto in piedi vogliono essere un riflesso di questa complessità generale. Inoltre, quello che è veramente odioso del tempo in cui viviamo è l’aver tagliato completamente la ricerca delle cause, cioè di vivere sul fenomeno senza cercarne gli addentellati. Io faccio delle storie che dal passato più remoto si proiettano nel futuro più remoto, e questo vorrebbe essere un’allusione… un invito, un’esortazione alla ricerca delle cause delle cose.
Vedi delle evoluzioni significative nella narrativa di genere in Italia?
Sì. Va detto che la narrativa italiana di genere ha avuto, a seconda dei settori, delle evoluzioni diverse. Per esempio la letteratura poliziesca, che poi si è evoluta nel noir, in Italia è stata legittimata molto prima di quanto non lo sia stata la fantascienza. In Italia la fantascienza è sempre stata marginale rispetto al poliziesco. Quando io ero piccolo un uomo di cultura poteva leggere un romanzo poliziesco, ma non leggeva la fantascienza, se non molto in segreto! Io ho assistito a casi di repressione anche ai miei danni, contro la fantascienza… con un rogo di tutti i miei Urania da parte dei miei genitori, incitati da una terribile professoressa! Un’inquisitrice…
Ah! È da quella figura lì allora che Eymerich…
(Risate) Comunque i giallisti, molto prima di coloro che operavano in altri campi, hanno saputo accordarsi, discutere tra loro, muoversi tutti insieme…per cui quel campo lì ha preceduto la maturità della fantascienza di almeno dieci anni se non di più. In questo senso, in un paese in cui la letteratura di genere trova una difficoltà enorme ad affermarsi, nel campo del giallo e del noir questa crescita c’è stata. Io penso, pur non conoscendolo direttamente, ho degli amici in quel campo però non ne seguo i dibattiti, che quella necessità di sfondare la gabbia di genere sia altamente sentita. Ad esempio, le escursioni nel fantastico degli autori noir ormai non si contano più. Penso che ci sarà un’evoluzione e spero che diventi comune poi a tutta la letteratura che continuiamo a chiamare di genere, ma che io chiamerei popolare. Perché di genere ormai solo il romanzo rosa è rimasto chiaramente identificabile, tutti gli altri cominciano a essere delle commistioni.
Nella tua introduzione a La macchina dei sogni di Francesco Scalone definisci la fantascienza semplicemente come «un filone della letteratura popolare».
Io amo molto la definizione di romanzo popolare, nel senso che quello a cui mi rifaccio non è solo la fantascienza, ma la tradizione del romanzo popolare. Io non ho mai preteso neanche per un minuto di scrivere dei capolavori della letteratura destinati a essere scolpiti a lettere di fuoco sulla montagna della letteratura nazionale, come quasi tutti quelli che si sono occupati di fantascienza. Io scrivo una letteratura di consumo, però tento di iniettarci delle idee nei limiti in cui questo è possibile, e poi di rifletterci sopra.
«In un tempo in cui sembra che allo squallore non esistano alternative», come scrivi in un tuo editoriale in Carmilla, che ruolo può avere la fantascienza e la narrativa popolare nella ridefinizione dell’immaginario?
Dobbiamo tenere presente quello che è (sembra una parola grossa) il capitalismo contemporaneo, il quale ha capito che poteva operare non solo sull’economia ma anche sulla psiche, sull’introiezione dei suoi valori. Diciamo così: mentre una volta tentava di regolare il processo lavorativo, adesso tenta di regolare ed invadere anche il tempo dedicato al riposo. I vecchi socialisti e i vecchi anarchici avevano quegli orologi a cipolla in cui era scritto: «Otto ore per lavorare, otto ore per istruirsi, otto ore per riposare». Dovevano lavorare moltissimo, istruirsi quando potevano, quello che era veramente loro era il tempo per riposare. Nella società contemporanea, il meccanismo economico sostanzialmente capitalistico ha invaso anche la terza sfera, quella del riposo, e invaso completamente l’immaginario. Il discorso che fa una rivista come Carmilla è: “tentiamo di riprenderci innanzitutto l’immaginario, perché oggi è un fattore produttivo esattamente come gli altri, e riempiamolo non di cose particolarmente raffinate o rivoluzionarie, ma della capacità di riflettere e di sognare”. Ma sogni che siano riflessivi e nostri, non degli altri. Tu però mi chiedevi in questo campo la letteratura scientifica cosa può fare. Al momento poco o nulla. Devi tener presente che la letteratura fantascientifica prevalente è di marca anglosassone, anche nel nostro paese. E quindi risente moltissimo della sottocultura americana, che non ha certo dei livelli entusiasmanti. Per cui, a parte opere interessanti come tutte quelle del filone cyberpunk, che oggi è più vivo in Italia che negli Stati Uniti, dove è quasi morto… in genere si tratta di una letteratura che non ha saputo tenere il passo coi tempi, anzi, è molto indietro rispetto ai tempi. Cosa che non succedeva con la cosiddetta fantascienza sociologica degli anni ’60, che fu un’esperienza interessante, fu la vera svolta nella fantascienza, quella che conquistò gente come me, che si accostò al genere in quell’epoca lì. Adesso è difficile capire che cosa fosse, però era un tipo di letteratura che conteneva una forte carica di critica sociale. Ti faccio un solo esempio. Uno degli autori più rappresentativi si chiamava Mc Raynolds, che era un dirigente del partito trotzkista americano. Ha scritto dei romanzi non eccezionali, però interessanti. Uno si chiamava Effetto valanga, che è la storia di un tale che non può comperare il frigorifero, e lo restituisce perché non ha i soldi per pagare le rate. Succede un effetto valanga che determina il crollo dell’economia americana. Perché la fabbrica che tentava di vendere quel frigorifero era sull’orlo del tracollo, e quando vede che non vende il frigorifero crede che sia un indice di mancata richiesta di frigoriferi. Il direttore della fabbrica stava per comprare un’auto e rifiuta l’auto… (risate) e si crea l’effetto valanga. Questo negli anni Sessanta. Adesso trova tu qualcosa di simile negli anni Novanta: non c’è più. Anche il cyberpunk non arriva a questi livelli di ironia.
Infatti il cyberpunk italiano di oggi non trovi risponda un po’ a una moda?
Sì, è ripetitivo, copia degli schemi altrui. Ti faccio un esempio contrario a quello di prima. Nei romanzi di dieci anni fa di William Gibson, come Neuromante o altri, tu troverai le multinazionali giapponesi che controllano tutto, con la Yakuza, eccetera. Si tratta poi di una classica ossessione degli americani e dei canadesi, sui giapponesi. Bene. Tu trovi oggi racconti e scritti italiani pseudo-cyberpunk in cui si parla di queste multinazionali giapponesi che controllano tutto. Peccato che tutta la forza economica del Giappone sia svanita da un pezzo! Oggi sta semmai la Corea, o ad altri paesi del sudest asiatico. Il punto è che Gibson probabilmente leggeva anche notizie a carattere economico, questi italiani che scrivono di multinazionali giapponesi non sanno niente di quello che è l’economia e la società che li circonda. Allora continuano ad agitare lo spauracchio che quello aveva agitato dieci anni fa osservando la situazione americana. Questo è ridicolo, da questo non nasce nulla. Forse il problema nella scrittura di genere italiana è anche che manca una cultura complessiva di coloro che vi si dedicano. Mancanza di una visione globale, nella fantascienza, e non paliamo poi di una visione antagonista! La trovi, ma di destra. Nel noir e in altri generi è molto più accentuata la critica sociale. Nel poliziesco i libri di Loriano Machiavelli e Carlo Lucarelli sono molto contestatori della realtà.
Carmilla è nata come rivista di narrativa fantastica. Ma già nel secondo numero c’è stata una apertura ad altri generi. A che cosa è dovuta questa trasformazione?
Innanzitutto ci tengo a dire che non sono il factotum o il direttore di Carmilla, sono un collaboratore, uno dei fondatori, però non sono solo io a farla. Carmilla è una rivista essenzialmente politica. Sotto l’apparenza della letteratura vuol fare un discorso più vasto, che riguarda appunto la colonizzazione dell’immaginario. Non ci sono difficoltà a dire che Carmilla è una delle riviste di estrema sinistra di questo paese. Parla per metafore, però i suoi contenuti non credo che lascino dubbi. L’apertura ad altri generi è stata dovuta in gran parte alla ribellione degli altri generi. Eravamo partiti occupandoci quasi solo di fantascienza, fantastico, horror… poi tramite Machiavelli e altri autori di gialli e di noir… ci hanno obiettato: anche noi facciamo letteratura fantastica, tutta la letteratura è fantastica. E in gran parte avevano ragione. Noi dicevamo che la nostra distinzione era… una letteratura che non segue canoni strettamente realistici. E loro hanno detto: anche noi facciamo la stessa operazione di trasfigurare il quotidiano. A quel punto ci siamo arresi e li abbiamo fatti entrare in massa. Ed è stato un apporto utile perché rispetto al campo fantascientifico, che conosco bene e posso criticare dall’interno, la letteratura noir, poliziesca e gialla in questo paese è politicamente molto più matura, molto più consapevole, e anche con degli scrittori di rango.
A cos’è dovuta, questa diversa maturità del noir e del giallo rispetto alla fantascienza?
Il fatto è che la scuola da cui provengono, una scuola anglosassone, aveva già dei buoni autori e con una grossa consapevolezza politica. Negli anni Trenta Dashiell Hammett finiva sotto processo per attività anti-americane. Potrei fare moltissimi esempi… anche uno scrittore ritenuto di destra come James Ellroy ha degli squarci critici sulla società americana che sono considerevoli. Tu non trovi nulla del genere nella fantascienza. Negli anni Trenta, quando Hammett finiva sotto processo in fin dei conti perché era militante comunista, la fantascienza americana si dedicava a invasioni spaziali in cui chiaramente l’invasore prefigurava già i bolscevichi. Poi dopo, negli anni Cinquanta, si sarebbe sviluppato il filone dei russi invasori trasfigurati in marziani. La fantascienza è molto più di destra, nelle sue origini americane, di quanto non lo sia il poliziesco americano, che ha avuto delle componenti di destra, ma anche altre di sinistra. Prendiamo un autore commerciale che però a me piace parecchio, Rex Stout, che ha creato Nero Wolf. C’è un episodio clamoroso di Nero Wolf dove prende la parte di gente di colore, e viene accusato perché il colore, eccetera. Ecco, c’erano già dei contenuti nel poliziesco. Nella fantascienza non trovi nessuno fino agli anni Sessanta, fino alla fantascienza sociologica. Quindi diciamo che la letteratura critica fantascientifica nasce negli anni Sessanta, mentre nel noir, giallo, gangster e poliziesco la trovi già trent’anni prima.
Anche in Francia ad esempio, il noir ha saputo contaminarsi, come dicevi prima. Una visione critica la si trovava da Leo Malet negli anni Trenta fino ad oggi, diversamente, nel seriale Le Pulpe o in Daniel Pennac, che a modo suo usa il genere.
Sì, la Francia è un caso tipico di politicizzazione. Lì però c’è una situazione molto particolare. Perché ad esempio la fantascienza francese, tutta giocata sul bizzarro, sullo strano, non esce dai confini francesi, mentre il noir attualmente è tra i più evoluti che esistano sulla faccia della terra. La contaminazione è il futuro della letteratura di genere. Resteranno certo delle distinzioni di comodo… di solito il noir non si occupa del futuro più remoto, no? Però la commistione è quanto di più vitale ci sia, e del resto se tu segui la letteratura cyberpunk, molto spesso si riproducono le atmosfere e le situazioni del noir, con un poliziotto di tipo chandleriano che deve fare un’indagine in una società futura…
Nella narrativa contemporanea c’è stata una riscoperta di tematiche libertarie, contestualmente alla crescita di diverse correnti letterarie quali il nuovo romanzo d’avventura, il noir francese, ma anche quello italiano, la scuola latino americana, da Sepulveda a Ignacio Paco Taibo II, etc. Nella fantascienza si assiste a qualcosa di simile?
Per chiunque si ponga oggi in una prospettiva antagonista, è chiaro che non può fare riferimento alle teorizzazioni del marxismo classico, che ha dimostrato alla prova dei fatti la sua inconsistenza e la sua brutalità di fondo. Per cui è ovvio che oggi ci sia una riscoperta, da parte di chi si muove a sinistra, delle tematiche libertarie, perché la storia in qualche modo vi ha dato ragione. Specialmente in una società come quella attuale in cui, ripeto, uno dei problemi è la conquista dell’immaginario, oltre a un dominio economico occorre anche un forte tasso di potere allo stato puro per creare le grandi operazioni che vengono fatte. Quindi occorre una macchina che è addirittura ultrastatale, nel senso che va al di là di quello che sono gli stati singoli, e che agisce su livelli continentali. In un ambito del genere è chiaro che chiunque pretenda di fare un discorso critico, se ha una forte consapevolezza di quello che lo circonda, non può che muoversi in senso libertario. E quindi tentare di esplorare strade diverse, sia nella critica che in quanto di costruttivo può riuscire a proporre. Questo in generale. Per quanto riguarda l’ambito fantascientifico, ti ho già parlato della sua povertà. Puoi trovare delle tematiche che possono essere sì libertarie, ma in senso estremamente vago, e mai connesso a una realtà di subalternità da un lato e di dominio dall’altro, c’è sempre qualcosa di ibrido. Nel caso del cyberpunk, che sarebbe il filone politicamente più evoluto, c’è questa individuazione di un nemico molto generico, che sarebbero le multinazionali. Ma il capitalismo farebbe schifo anche se non avesse le multinazionali, non è quello il problema. Tu non trovi oggi una consapevole critica anticapitalistica ed antistatalista nella letteratura fantascientifica. Mentre nel noir si può trovare comunque una descrizione della società aspra e violenta, per cui si capisce che al suo interno qualcosa non funziona, nella fantascienza è molto più difficile.
E’ ancora possibile oggi concepire utopie, alternative al presente?
Tutti coloro che sono della mia età e che hanno fatto fin da giovanissimi delle scelte di sinistra, e che leggevano di fantascienza, sono stati molto influenzati dalla fantascienza del tempo ad ipotizzare alternative al presente. Ipotizzare anche solo che potesse esserci un’alternativa al presente. Se tu trovi un giovane dei giorni d’oggi, senza per questo volerli demonizzare in massa, intendo un giovane medio, classe media, che fa le scuole… costui riesce a concepire qualche ritocco, qualche miglioramento alla società attuale, ma non riesce a capire che possa essere cambiata dalle fondamenta. Ha una visione estremamente limitata, vede la realtà in cui vive e non riesce a vedere cosa sta accadendo in Africa o in Asia dove stanno accadendo i più grandi macelli che la storia ci abbia mai presentato. Non è abituato a concepire un’alternativa radicale al presente. La vecchia fantascienza sociologica è chiaro che non era un manifesto ideologico, ma aiutava molto a farsi l’idea di una possibile alternativa radicale. La fantascienza di oggi, non credo che riesca a farlo, un domani si vedrà. Però i cambiamenti devono essere tantissimi, perché qui parliamo proprio di sotto-sotto cultura. Per raggiungere dei cambiamenti nella cultura dominante bisogna che i cambiamenti che ci sono stati siano stati molto profondi. Adesso ti propongono una convention di fantascienza a San Marino con il tema “Il ritorno dell’eroe”. Pensa a un titolo del genere. Cioè l’attualità di oggi è il ritorno dell’eroe, per questi fascisti qua. Capito? Allora cosa pretendi dalla fantascienza italiana? Niente! E scrivilo questo, ci tengo! (Risate).
Un tuo racconto molto bello si intitola Metallica, e questo mi dà lo spunto per chiederti quali sono i tuoi gusti musicali e come vivi la tua ispirazione.
Se tu leggi il Manuale degli scrittori che ha scritto il noto autore Vincenzo Cerami, leggerai che l’autore non deve basarsi sull’ispirazione, ma lavorare quotidianamente, che abbia ispirazione o no. Io la penso proprio in maniera esattamente contraria. Pur essendo un classico autore commerciale, che più di me ce ne son pochi, io se non ho l’ispirazione non riesco a scrivere nulla. Allora questa ispirazione può venirmi da atmosfere, canzoni che ascolto, notizie che leggo sui giornali o cose che vedo in televisione. Quando ce l’ho, scrivo. Nel caso di Metallica… io ho sempre amato molto il rock durissimo, specialmente quello punk: dai Clash ai Sex Pistols, dai Dead Kennedys ai D.O.A., etc. Solo che adesso non ci sono più o non fanno più la stessa musica. Mi ero illuso che i Metallica avessero la stessa forza, al di là della loro evoluzione agli inizi facevano punk, ma l’ultimo disco è una delusione! Allora ascoltando questa musica è chiaro, uno si crea delle fantasie, e associando questa musica a spettacoli di guerra che si vedevano alla TV è venuto fuori il racconto Metallica. Questo però per dirti che non è che io abbia un sistema. Seguo quella che è l’ispirazione del momento, innestandola in storie strutturate per avvincere il lettore e creare suspence! (Risate).
Non ti forzi quindi nello scrivere?
Dipende. Nell’artigianalità dello stile sì. Io sono sicuramente molto professionale quando scrivo, sono molto artigianale, seguo dei miei canoni e non punto mai all’arte. Quindi su questo piano la risposta è sì. Però su quello dell’ispirazione no. Fatto sta che quando scrivo queste storie è il mio massimo momento di libertà e di felicità, per cui tendo a moltiplicarlo, ad averne il più possibile.
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