Federica Marchetti – Cristina Campo
Per la maggior parte degli italiani Cristina Campo è una sconosciuta ma per un’élite è oggetto di vero e proprio culto. Schiva, antimoderna, consacrata alle lettere, la Campo è destinata a rimanere nell’ombra per aver scritto poco (e mai narrativa) e di difficile approccio anche da un punto di vista commerciale: pubblicata da Adelphi, la Campo rimane pietra miliare del Novecento italiano.
La scrittrice più sconosciuta d’Italia è Cristina Campo al secolo Vittoria Guerrini nata a Bologna il 28 aprile del 1923 e morta a Roma il 10 gennaio 1977. Nata con una malformazione cardiaca non frequentò i suoi coetanei e seguì studi privati maturando un isolamento e una precarietà che si sarebbero rispecchiati nei suoi scritti. Poetessa, scrittrice, saggista e traduttrice, visionaria, icona dell’essenzialità, in vita ha scritto relativamente poco e avrebbe voluto scrivere anche meno (dalle sue stesse parole). Definita “scrittrice assente” era ossessionata dalla passione per la perfezione. Morì a soli 54 anni dopo essere stata una delle più grandi intellettuali del Novecento. Amava scrivere sotto pseudonimo (Cristina Campo è il più celebre ma si firmava anche Puccio Quaratesi, Bernardo Trevisano, Giusto Cabianca, Benedetto P. d’Angelo) e amava giocare con gli amici sul tema della propria identità anagrafica.
Cristina Campo abitò a Bologna (dove nacque), a Firenze e a Roma (dove morì). Visse di letteratura, circondata dai gatti e quando morì molte delle sue carte andarono disperse. Le sue raffinate pagine erano estranee ad una società incapace di leggerle (era tagliata fuori dalla scena editoriale). Si racconta che fosse vivace e molto affascinante con mani piccole e orecchie bellissime ma, nell’impossibilità di avere figli, non si sposò, ebbe amicizie innocenti e un rapporto privilegiato con l’intellettuale Elémire Zolla, studioso delle culture d’Oriente, ch’ella salvò dalla tisi. Durante gli anni romani i due vissero ai due lati del Tevere, poi in due stanze della Pensione Sant’Anselmo e infine in un appartamento su piazza Sant’Anselmo ma la convivenza fu quella di due anime opposte: rigorosa quella di Cristina, disordinata quella di Zolla. La Campo divenne una cattolica fanatica: ispirata da Simone Weil (che le aveva fatto conoscere Mario Luzi) si abbandonò alla mistica e, nell’ultima parte della sua vita, all’ascesi. Zolla difendeva le tradizioni ma non sprofondò mai nel fanatismo. Quando Cristina morì Zolla ne fu devastato: nonostante un documento in cui i due si lasciavano i reciproci scritti, la Campo aveva cambiato idea e i parenti ne avrebbero disperso lettere e carte. Zolla, allora, ritornò a vivere nella Pensione Sant’Anselmo con pochi libri, pochi mobili e tre gatti.
Cristina Campo fu una grandissima lettrice e spaziò da Shakespeare a T. S. Eliot, da Virginia Woolf a Truman Capote, da William Carlos Williams a John Donne, da Gustav Herling a Simone Weil, da Proust a Borges, da Hoffmannsthal a Dante, da Céline a Cechov a Emily Dickinson e tanti altri ancora. Frequentava scrittori e poeti: Alessandro Spina, Corrado Alvaro, Mario Luzi, Benedetta Craveri, Giorgio Bassani, Maria Luisa
Spaziani, Pietro Citati, Guido Ceronetti, Roberto Calasso, Anna Banti, Gianfranco Draghi, Ezra Pound. La sua vita si è compiuta solo grazie alla letteratura. Non è facile sintetizzare l’opera e la personalità della Campo che resta un grande insondabile mistero. Donna in contraddizione cercava la solitudine e temeva le cattive compagnie. Sceglieva le battaglie da combattere e ci si buttava a capofitto: processi, repressioni, stermini, distruzioni fino all’ultima, quella a favore della tradizione liturgica della religione cattolica. Sola, e sempre più isolata, per tutta la vita scrisse tante lettere ad amici e colleghi, in particolare all’amica Margherita Pieracci (curatrice delle sue opere).
In realtà Cristina Campo scrisse moltissimo se si contano i saggi e le traduzioni ma è difficile recuperarli perché mai raccolti in volumi. Esiste invece una ricca e dettagliata bibliografia dei suoi scritti. Ufficialmente l’opera della Campo consta di tre tomi, Gli imperdonabili, La Tigre Assenza e Lettere a un amico lontano: un volume di saggi creativi (s
critti in vari anni), una raccolta di testi poetici (un vero e proprio planctus scritto dopo la morte dei genitori) e un libriccino di lettere. Gli ultimi due sono addirittura postumi e voluti dagli amici editori. Con gli anni sono stati pubblicati altri libri della Campo quasi tutti di natura epistolare (Il mio pensiero non vi lascia, Carteggio, Un ramo già fiorito. Lettere a Remo Fasani, Lettere a Mita, Se tu fossi qui. Lettere a Maria Zambrano, Caro Bul. Lettere a Leone Traverso).
Nel 2002 è uscita la sua biografia, Belinda e il suo mostro (Adelphi) scritta da Cristina De Stefano che racconta tutta la sua storia intensa e vibrante: dall’infanzia bolognese alle amicizie, dagli anni della guerra agli amori, dagli amori alle testimonianze fino alla morte. Come un’indagine poliziesca, la vita della Campo è ricostruita attraverso testimonianze e la rilettura dei suoi testi. E per noi lettori curiosi è l’unica via da percorrere per conoscere la biografia di questa straordinaria artista che, alla continua ricerca della perfezione, ha lasciato tanti frammenti di sé senza mai concepire un’opera maggiore che forse ne avrebbe consacrato il genio.
quanti errori in poche righe…
“L’unica opera vera e propria è Gli imperdonabili (di cui scelse anche la copertina)”: ma dove? Gli imperdonabili è una raccolta postuma, pubblicata da Adelphi nel 1987.
In vita Cristina Campo pubblicò una racolta di versi (Passo d’addio, All’insegna del Pesce d’Oro, 1956) e due racolte di saggi (Fiaba e mistero e altre note, Vallecchi, 1962 e Ll flauto e il tappeto, Rusconi, 1971).
Caro Giampaolo,
grazie per questa e per le altre – ahimè, imperdonabili sviste – che ci hai segnalato. Ho provveduto ad editare e lascio pubblico questo tuo commento per completezza d’ informazione, oltre che per correttezza.
Ti ringraziamo per la lettura e per l’ attenzione,
Vincenzo Trama