Giovanni Modica – Le foglie verdi di un genere: Inglorious Bastards di Quentin Tarantino del 2009
Leaves: questa parola, in termini cinematografici, mi riporta immediatamente a “The green leaves of Summer”, il classico della canzone americana adattato a musica di apertura di un altro caposaldo, ma stavolta del cinema: Inglorious Basterds di Quentin Tarantino. Ora, conoscendo il cinema di Tarantino, non sono certo che questa scelta nasconda una metafora connessa al film. Di sicuro, però, ci invita a evocare la collocazione storica e filmica di quest’opera sontuosa, unica, meccanica nella storia quanto anarchica nello spirito, se non altro per il coraggioso finale. Dopo il definitivo film sulla WWII di Steven Spielberg The Shindler’s list, non si sarebbe mai potuto immaginare che qualche altra cosa potesse essere aggiunta al tragico racconto di quegli anni. Se non appellandosi, appunto, alla fantasia correndo tutti gli inevitabili rischi che l’operazione avrebbe comportato. La vita è bella di Benigni ne fu un esempio, con le sue dichiarate licenze filologiche che comunque non ne implicarono il successo. Tarantino non si rifece all’intimismo tragicomico di Benigni ma alla magniloquenza del film bellico classico, con in primo piano militari e ribelli, non uomini comuni. Eroi. Questo lavoro, che i puristi della Storia non hanno mai mandato giù, è uno dei vertici del regista del Tennessee. Verboso senza stancare, pieno di giochi psicologici e sfide di intelligenza tra le parti, anticipò la vena teatrale che il suo autore avrebbe presto esternato nella sua forma più piena in The Hateful Eight. Un film che parte da assunti storici inconfutabili e si conclude annullando la pretesa della ricostruzione in favore di due elementi ad essa estranei: la magia del Cinema, ovvero spettacolo puro, e la speranza disattesa su come sarebbe potuta finire in un modo ideale la Seconda Guerra, ovvero con un “gioco” spionistico che non prevedeva né trincee né sbarchi. L’utopia e lo spettacolo sono il seme di questo inaspettato nuovo classico di guerra, quando si era – come detto – quasi sicuri che lo Shindler’s di Spielberg avesse chiuso ogni nuovo discorso credibile e sincero sul tema. Già, perché nulla è andato a scapito neppure della sincerità di questa pellicola. Nulla è sopra le righe come spesso accade in Tarantino, e se la filologia storica va a farsi benedire, è per un necessario ricambio di fogliame: un altro fim di guerra di tipo classico sarebbe stata una foglia secca, e solo con una foglia (Leaves, come nella canzone di apertura) del tutto nuova si poteva rendere vivo un tema così delicato, aprendo una strada meno ortodossa senza tradirne lo spirito e mantenendosi a distanza dalle indigeste finalità commerciali che spesso tali rivisitazioni implicano.
Giovanni Modica
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