Gordiano Lupi – “Bar Samarcanda” di Luigi Palazzo
Luigi Palazzo
Bar Samarcanda
Transeuropa / Nuova Poetica
Euro 15 – Pag. 95
Luigi Palazzo è un avvocato che insegna a contratto preso l’Università del Salento, già autore di Non raccontarmi il cielo (Manni, 2019), finalista al Premio De André e al Città di Borgomanero, organizzato da Atelier, pubblica poesia su Inverso, Il Visionario, L’Altrove, Salento Poesia, Atelier e La Repubblica edizione di Bari (rubrica curata da Vittorino Curci). Abbiamo letto il suo Bar Samarcanda in una sola seduta, perché se fosse un disco sarebbe un concept album sul tempo perduto, dedicato agli sguardi e alle assenze di ieri e domani. Fonte di ispirazione il buon vecchio Proust, che ha influenzato diverse generazioni di scrittori e registi, ma anche alcuni cantautori italiani come Guccini e De André, per non parlare di Vecchioni, omaggiato sin dal titolo. Il frontespizio esistenziale gucciniano (Fingo di aver capito che vivere è incontrarsi, / aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, / bere, leggere, amare, grattarsi), estrapolato da Canzone quasi d’amore, apre la strada alla sola poesia in rima, scritta in quartine perfette, il prologo ambientato nel Bar Samarcanda. Il libro è composto da una galleria di personaggi sconfitti dalla vita che si danno appuntamento in un bar della memoria, percorrendo i ricordi di un passato non troppo lontano. Bar Samarcanda è una sorta di malinconico Spoon River salentino (apprezzabile in certi casi la citazione del dialetto), dove ragazzi degli anni Ottanta vagano in cerca del loro tempo perduto. Si chiamino Damiano, Federico, Uccio, Alfredone, Valentina, Rita … tutti devono subire un destino che non assomiglia per niente a quel che avevano immaginato mentre bevevano birra nel Bar Samarcanda. Non mancano i quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino che ricordano il De André de La città vecchia, giocano a carte e osservano il mondo prendere le sembianze di un piccolo paese. Sono nati negli anni Ottanta i personaggi della commedia umana di Palazzo e si sono fatti fregare, hanno perduto Pantani, Fantozzi, il proporzionale, persino i videogiochi e la pensione, le schede telefoniche, il festivalbar, le biglie e i marsupi. Tutta colpa del Duemila e di un mondo che tutti noi fatichiamo a decifrare, soprattutto noi nati anni Sessanta, orfani come siamo di Pasolini e Rivera, di Bianciardi e Mazzola, di Moravia e Burgnich. Per fortuna ogni tanto incontriamo un poeta vero – merce rara! – e ci consoliamo con la sua lettura.
Gordiano Lupi
Bar Samarcanda
(Transeuropa, 2021)
IL TAVOLO 5
Ai posti in cui ogni pomeriggio
quattro pensionati degradano l’Altissimo
invocando un tre di briscola
dei ragazzini in età da scooter
che simulano i crismi degli adulti
ticchettando sugli smartphone
raccolgono il testimone
ed alternano matonne8
e santi
a morsi ad un panino smezzato.
Fuori
il mondo assume le sembianze
di un piccolo paese
come uno qualsiasi
che ha perso lo scudo
della fantasia e la culla
del sempre.
* * * * *
RETRO BOTTEGA
Da stamattina picchietta la sorte al videopoker
ed è sotto di quasi cinquecento gettoni da un euro.
É andato a prendere il figlio da scuola
la moglie gli ha rattoppato i pantaloni
ed è tornato nello stanzino sul retro
dove una ragazza assaggiava il basso ventre
del tipo che ritira il vuoto a rendere.
Una lama gli accarezza le costole basse
sopra al fegato
e la scommessa di futuro
si annoda alla velocità del dito sul bottone.
In un angolo
una vespa si dimena in una ragnatela
e punge a vuoto.
* * * * *
NATI NEGLI ‘80
Gettati nella fossa comune di questo tempo
compressi tra le zampe del mammut
vagano
con le gambe tremanti e lo sguardo basso.
Si sono fatti fregare li hanno fregati
Arrighi, Règani, Beppi e Pippibbaudi
e musica senza strumenti.
Li percepisci. Se ne accarezza la malinconia.
Gli hanno tolto
Pantani, il proporzionale, Fantozzi, Scatman, PC Calcio e la
pensione
le schede telefoniche e gli squilli
il Festivalbar, le biglie ed i marsupi di semmai
con un colpo di spugna chiamato duemila.
Hanno perso
il diritto alla mediocrità
per il dovere di eccellenza.
“Come stai?” “Bene!”
Qualcuno aspira ancora
al futuro che avrebbe dovuto.
Qualcun altro invidia i vent’anni
del tipo che rulla uno spinello
e alterna leccate alla cartina
e leccate alla ragazza a cui dedicherà la prima boccata.
Vagano
e rimbalzano tra porte socchiuse
e serrande in chiusura.
Qualcuno ha attraccato alla sua Caterina,
qualcun altro è rincorso da qualche buco nero.
Give me five!
* * * * *
QUANDO SEGNAVA SHEVCHENKO
Io ero Paolo Maldini
anche se sulla fascia zoppicavo
tu eri Rino Gattuso
anche se al primo scatto
restavi paonazzo.
Il mondo ad aria compressa
ci rimbalzava sui sogni
e noi scaldavamo la vita
sui vetri rotti delle finestre
e sotto i radiatori.
Circondati dal suono
gracchiante dell’estate,
ogni medaglia al valore
sulle ginocchia e sugli stinchi
sanguinava stupore
per il gol in rovesciata
o il rigore parato
sulla linea del tombino.
Ma quando segnava Shevchenko
giravano il giorno e la notte
la sorte invertiva le rotte
il tempo era fiato sospeso.
Le corse per correre
erano anni da vivere
abbracci da scrivere
e la distesa d’asfalto
dove ognuno invocava
il proprio San Siro
tracciava il confine
tra il piacere
e il piacere.
E quando segnava Shevchenko
ognuno centrava il bersaglio
ognuno inseguiva il suo sbaglio
ognuno piangeva sorpreso
nel vortice
appeso alla voglia
ad attendere il fischio
d’inizio.
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