Gordiano Lupi – “Fermento di Falesia” di Stefano Giannotti
Stefano Giannotti è autore che conosciamo per aver apprezzato i suoi primi romanzi editi, – Alla ricerca dell’isola perduta e La biblioteca di sabbia –, pervasi di citazioni da Borges, Proust e altri autori che compongono il suo immaginario letterario. Non conoscevamo la sua inclinazione poetica, ma questa silloge dedicata alla città natale, dimostra che l’ispirazione lirica non è meno coinvolgente rispetto alla dimensione della prosa. La dedica compone una sorta di lirico (quanto condivisibile) incipit: A Piombino, dove sono nato,/ che da giovane ho creduto essere tutto il mondo./ Adesso che di mondo ne ho visto abbastanza,/ non so se da ragazzo mi sbagliavo poi molto, che dà il via a una proustiana ricerca del tempo perduto, segnata dal rimpianto e dal vivere con i ricordi, patrimonio personale irrinunciabile. Amarcord felliniano per immagini che colpiscono improvvise e scaturiscono dagli oggetti più impensati e dai luoghi ritrovati nelle vesti d’un tempo. Il poeta percorre le strade della sua città mentre da ogni angolo fa capolino il passato, sotto forma di sensazione indelebile e di flashback della memoria che ricorda sequenze indimenticabili de Il posto delle fragole. Il portachiavi, le camicie e l’orologio/ non sapranno mai che me ne sono andato/ ma questa città non mi abbandona/ aspetta che sia sempre parte di lei/ sono nato, sono stato e sempre starò a Falesia. Piombino – Falesia è il nome antico che ricorda le scogliere – occupa gran parte dei componimenti, intenso come luogo dell’infanzia, la Combray indimenticabile di Proust, dove tutto comincia e dove si tende a tornare. Altre liriche sono dedicate a se stesso, ai libri, alla biblioteca, al vento che soffia dalla Provenza, alle donne del passato, a scrittori e personaggi di romanzi, ma su tutto aleggia il panorama indimenticabile d’un promontorio, dal Golfo di Baratti alla Cittadella, passando per la piazza sul mare dedicata a Giovanni Bovio. Che ne sarà stato di quei ragazzi/ che verso il mille e novecento ottanta/ si ritrovavano su quelle panchine/ a cercare senza trovarlo/ un luogo dove spendere il tempo/ ignari del tedio che porterà il futuro/ ma felici a notte fonda di dire/ ci vediamo domani, amici. Il rimpianto resta nota indelebile: Cosa non darei per scambiare ancora/ le figurine in via Dalmazia/ il nascondino o un calcio al pallone/ un gioco continuo fino al tramonto. L’Isola d’Elba all’orizzonte segna la rotta da seguire, una volta mollati gli ormeggi, lasciando alle spalle ciminiere corrose che non fanno alcun fumo/ un mostro l’altoforno di fatiscente ferro. Dal ponte della nave si ammirano le case e le strade di quel tempo perduto/ la spiaggia e gli amori di quei giorni passati. Una traversata che assomiglia alla vita, anche se il porto a vent’anni era un ponte sospeso/ verso mondi migliori e donne d’amare, mentre adesso non resta che un cupo orizzonte fatto di angoscia e paura, anche se continua la ricerca dell’isola perduta. Nostalgia e passione sono la nota dominante di una raccolta di liriche sincera e per niente costruita, pur se lo stile denota ricerca e studio della parola per conferire al verso musicalità e ritmo. Poesia racconto che ricorda il Pavese di Lavorare stanca, ma anche molte liriche ambientate a Piombino composte da Maribruna Toni che consigliamo di rileggere con attenzione. Un piccolo grande libro da leggere e rileggere, per metabolizzarlo in profondità. Essere piombinesi aiuta ma non è indispensabile, perché le liriche rappresentano un’elegia della provincia e del tempo perduto che può essere universalizzata e rivolta a ogni luogo dell’anima. Concludiamo con un assaggio lirico, forse con il componimento più emblematico che unisce la sinfonia dei ricordi a sprazzi di poesia civile sullo stile de Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini.
Torniamo a leggere poesia. Fa bene al cuore.
FALESIA
Sono nato in un’altra città che pure si chiamava Falesia.
Ricordo ogni tipo di odore, piacevole e fastidioso,
quello acre delle polveri della fabbrica,
quello pungente delle alghe bagnate sulle spiagge,
quello di cocco della crema solare
spalmata dai bagnanti in estate,
quello arido delle reti dei pescatori al porticciolo,
quello nauseante del pesce nella pescheria di mia zia,
quello fragrante della schiaccia appena sfornata,
quello floreale delle ginestre in quelle notti di maggio,
quello silvestre degli aghi di pini nella mia spiaggia.
Ricordo la piazza dove ho imparato a leggere
ma pure giocavo a pallone con l’amico che non c’è più,
ricordo la pizzeria delle notti a ridere con gli amici,
ricordo il piazzale con le barche dove imparai a nuotare,
ricordo quel golfo dove per la prima volta mi dichiarai
ma anche l’anfratto dove in penombra detti il primo bacio.
Ricordo la granita al tamarindo con le labbra salate,
le mattine al porto a veder salpare i traghetti
credendo un giorno di partire per destinazioni sconosciute.
Ricordo lo stadio sulle cui gradinate esultavo per il gol,
il palazzetto dove gioivo per un canestro decisivo.
Ricordo la piazza con le due cabine del telefono
dove ogni giorno ritrovavo i miei amici
senza pensare che quel giorno non ci sarebbe più stato.
Ricordo l’operaio che si rifiutò di consegnare il tricolore
mentre cantava Bella ciao e quelli che occuparono la fabbrica
lasciando i figli senza pane per rivendicare i propri diritti.
Ricordo lo specchio che rifletté per l’ultima volta
il volto di mio padre.
Ora in quella città sarei un estraneo
qualcuno forse più giovane di me
non leggerà mai questa pagina
ma rimpiangerà quel campo di ulivi
e quell’amore mai sbocciato.
Gordiano Lupi
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