Il principe e il coniglio – Francesca Lenzi
IL PRINCIPE E IL CONIGLIO
Io sono un po’ tocca.
Non è che ne sia del tutto sicura, ma l’ho sentito così tante volte, da gente ogni volta diversa che sì, devo esserlo davvero.
Mi manca qualche rotella.
Sono mentecatta.
Squilibrata.
Demente.
Alienata.
Così mi chiamano.
Sono inattendibile. Così mi hanno definita quando ho detto che il nonno mi aveva toccata sotto le mutandine. E che si era fatto toccare a sua volta, quel maiale.
Ma ero pazza. Una fuori testa che accusava un uomo rispettabile, gran lavoratore, al quale era capitata la disgrazia di una nipote malata di mente, eredità di un figlio morto troppo presto un giorno di maggio schiacciato da una fresa nella fabbrica del paese.
Ricordo che quella mattina mi stavo preparando per andare a scuola.
Il babbo ero andato al lavoro da poco. Era venuto a svegliarmi un paio di ore prima. E io mi ero svegliata ed ero andata nel lettone con la mamma.
Quella mattina mi aveva appena riscaldato il latte quando squillò il telefono.
Stavo infilando nella tazza il primo biscotto. Lo inzuppai una, due, tre volte. Stavo per morderlo quando la mamma gridò. Io la guardai, senza capire. Il biscotto cadde nel latte. Me ne rimase in mano solo un pezzetto.
Il babbo era morto. Questo avevano detto alla mamma al telefono.
Morì anche lei poco tempo dopo.
Forse di crepacuore.
I dottori dissero che un forte mal di testa le fece scoppiare il cervello. O qualcosa del genere.
Ma io credo che morì di crepacuore.
Comunque io finii col nonno.
Ma il resto non lo voglio raccontare.
Non mi sono neppure presentata.
Mi chiamo Sofia. Alla mamma piaceva un’attrice famosa che aveva questo nome e allora me lo dette.
Il cognome non lo ricordo mica. Quello dell’attrice, voglio dire. Il mio è Fabbri. Mica sono scema che non so. Sono un po’ tocca, è vero, ma non scema.
Da un po’ vivo in un posto dove ci sono dottori e infermieri.
Ho una camerina solo mia ma ogni giorno devo prendere delle medicine.
Dicono che mi fanno bene.
Io non lo so se mi fanno bene.
Comunque non ci starò ancora per molto qua dentro.
Aspetto che mi portino via.
Chi?
Beh, è un segreto, in realtà.
O meglio, lo è da quando l’ho detto e mi hanno aumentato le medicine da prendere.
Mi credono pazza. Ma non è vero.
Sì, sono un po’ tocca, ma il principe è vero. L’ho visto.
Non è come quello che raccontano le favole.
Non è un bel ragazzo alto, biondo e con gli occhi azzurri.
È quasi un vecchio. Ha pochi capelli e, quelli che ha, sono lisci e bianchi.
Sono raccolti in una coda lunga che gli arriva sino in fondo alla schiena.
È magro magro e un po’ incurvato su stesso. Come se gli pesassero tutti gli anni che si porta appresso. Ha le braccia secche e nodose, con le vene che gli segnano delle linee decise dai polsi sino alla fine degli avambracci.
Come cammina non lo so perché l’ho sempre visto seduto.
No, non sul suo cavallo. Non ce l’ha un cavallo. Quello è il principe delle favole e non c’entra niente col mio. Mi sembrava di essere stata chiara.
Invece di un cavallo monta un coniglio altrettanto bianco come i suoi capelli lisci e lunghi sino in fondo alla schiena.
È una bestia gigante col pelo ispido e gli occhi rossi come iniettati di sangue.
La prima volta che li ho visti è stato in sogno, mentre dormivo.
Anche la seconda. Ma non la terza. No, davvero.
La terza volta li ho visti in giardino. Ero affacciata alla finestra.
Sono corsa giù per le scale, facendo gli scalini a due a due, ma quando sono arrivata giù non c’era più nessuno. La sera, però, erano in camera mia.
Nella penombra ho prima visto prima gli occhi colo rubino del coniglio quando, pochi secondi più tardi, è uscito dall’oscurità anche il principe.
Ero paralizzata dalla paura. Non riuscivo proprio a muovermi. E forse è stato un bene così. Perché stavo buona buona e zitta mentre il principe mi spiegava cosa avrei dovuto fare e come mi avrebbe salvata.
E adesso sono qua che aspetto.
Non dico più nulla a nessuno. Sì, lo sto dicendo a voi, ma tanto chi vi crederebbe?
A me non ha creduto nessuno, e ci ho solo guadagnato un paio di pastiglie in più al giorno. Mi prendono in giro, lo so, lo sento. Chi? Beh, gli altri matti chiusi qui dentro con me. Si pensano tanto migliori, ma in realtà sono morti che camminano. E lo stesso sono i medici e gli infermieri. Se le rimangeranno tutte quelle prese in giro per i corridori, quelle frasi sussurrate di nascosto nelle orecchie, quegli sguardi patetici nei miei confronti.
Aspetto il principe sul coniglio bianco dagli occhi scarlatti. Aspetto che mi venga a prendere. Intanto ho fatto quel che mi ha detto di fare. Ho nascosto dentro la federa del cuscino un bisturi che ho rubato un giorno in infermeria. Quando tutti ti credono demente, nessuno fa caso a te. Neppure dentro un ambulatorio pieno zeppo di medicine e strumenti medici.
Aspetto il momento giusto. Aspetto che il principe venga a prendermi. Lo sentirò dal tintinnio della campanella sul collare del coniglio.
Ogni sera e ogni giorno allungo le orecchie come una locusta in mezzo ai fili d’erba. Dovrò essere paziente, me l’ha detto il principe. “Pazienta”, mi ha detto chiudendo la frase in un ghigno insopprimibile.
E io aspetto.
Ma poi non ce ne sarà per nessuno.
Né per medici, né per gli infermieri. Né per gli altri matti qua dentro. Né per il nonno là fuori. Per nessuno.
E, alla fine, vivranno e vivremo tutti felici e contenti.
Ma questo adesso non posso dirlo ad anima viva. Allora lo dico soltanto alla mamma e al babbo che loro tanto non ci sono più in questa vita.
Lo dico a loro, e basta.
Ché io sono un po’ tocca, ma mica scema.
Francesca Lenzi
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