La fila per il cesso – Mattia Maino
Se non si riesce neanche a svuotare la vescica in santa pace vuol dire che attorno a noi qualcosa proprio non va. Quel che invece va è la short story di Mattia che, in un crescendo d’urgenza narrativa – e urinaria, è il caso di dirlo – benedice la sua città con un fiotto di benzina e parole battezzandola nel nome di chi, noi come lui, non ne può più, non ne può proprio più.
La fila per il cesso
La fila per il cesso è interminabile. Sono in coda da un quarto d’ora come un deficiente e nessuno s’è ancora mosso, dunque mi pare giunta l’ora d’avvalermi del sacrosanto diritto di spazientirmi. Perché ci mettono tanto? Una ragazza davanti a me dice all’amica che qualcuno sta pippando nei bagni, l’altra risponde che probabilmente staranno scopando, entrambe ridono e continuano a parlare. Nel frattempo ciò che prima era bisogno ora è diventato urgenza. Sento la vescica tesa come pelle di tamburo, ogni movimento stritola le pareti, basterebbe uno spillo per farla esplodere. Ho letto che quando scoppia all’inizio si prova sollievo, l’istantanea liberazione di trecento millilitri di urina è talmente piacevole da alleviare il dolore per qualche secondo, poi però questo arriva, inesorabile, così straziante da volersi strappare le budella.
L’uretra brucia e incalza pressante implorando il flusso, che giungerà presto se chi è al cesso non si sbriga. Secondo i miei calcoli ho al massimo venti minuti d’autonomia prima di farmela addosso, spero di non dover resistere così a lungo. Mentre cerco d’arginare il fiume che preme sul meato urinario, una ragazza mi supera e si unisce alle due amiche, io mi limito a maledirla in silenzio, tanto ormai una persona in più non fa molta differenza; ma ecco che arriva un gruppetto di ragazzini sbronzi. Come han fatto ad entrare Dio solo lo sa, e con l’arroganza di chi crede di possedere il mondo saltano la fila indisturbati piazzandosi proprio davanti a me. Il primo pensiero è di spaccargli il bicchiere in testa e di farglielo poi ingoiare pezzo per pezzo, schegge comprese; poi come sempre mi attenuo, e dall’odio animalesco passo all’odio civilizzato. Stracolmo di ingiurie mi preparo a rimproverare sti buzzurri, ma la codardia prende le redini e ancora una volta me ne sto zitto. Stanco di farmi mettere i piedi in testa e dilaniato dall’impellenza decido di andarmene per farla in qualche vicolo. Saluto chi devo salutare ed esco immettendomi nella Corsarola.
La strada è deserta, alla prima viuzza svolto, ma devo subito fare retromarcia: un uomo sta vomitando l’anima accanto a un cassonetto. Benché disperato vorrei mantenere un minimo di decoro, non mi pare il caso di pisciare con dei conati come sottofondo, dunque mi rimetto in cammino. In due minuti raggiungo Piazza Vecchia e col ventre straripante provo ad appartarmi nell’intercolunnio del porticato; Il primo getto è proprio sul punto d’uscire, finalmente posso godermi il piacere della minzione, ma vedo giungere un uomo col cane, e le aspettative vengono di nuovo infrante. Quasi mi viene da piangere. Ricaccio tutto nei pantaloni e me ne vado. Ogni passo è una tortura, una martellata nei coglioni che vibra propagandosi ovunque. Procedendo in direzione Funicolare mi chiedo perché devo sempre essere io a farmi da parte, persino gli sconosciuti percepiscono in me questa sorta di pochezza, è come un’aura che m’accompagna quotidianamente sminuendo ogni aspetto della vita, e io la lascio fare; la sento sussurrare agli altri “Vedi quel ragazzo? Sì, proprio lui. Lui non vale niente, calpestalo pure, non fare complimenti”. Ho assecondato questa voce troppo a lungo.
Fra un pensiero e l’altro mi ritrovo sul Viale delle Mura. Attraverso Porta San Giacomo, incazzato a morte. Da quassù Bergamo è minuscola. Non ce la faccio più, è giunta l’ora di sfogarmi. Mi sporgo sul vuoto dal parapetto, abbasso la cerniera e do inizio alla sinfonia. La città è mia, e ci sto pisciando sopra, lurida pervertita. Uno schizzo qua e uno là, andatevene affanculo tutti.
Mattia Maino
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