Luca Palmarini e Monika Dziedzina – Josef TIso, criminale di guerra o martire dello Stato?
Sono passati 71 anni dalla morte di Jozef Tiso, presbitero e politico slovacco che durante la Seconda guerra mondiale divenne Presidente del Consiglio della Repubblica indipendente slovacca, trasformandola in uno stato alleato delle Potenze dell’Asse. La sua figura è ancora oggi fortemente ambigua, in quanto egli in realtà era un sacerdote cattolico che si alleò con il Terzo Reich, permettendo la propagazione delle leggi razziali anche in territorio slovacco.
1. Lo sfondo storico
Per comprendere le decisioni prese da Josef Tiso, il suo modo di ragionare e di agire bisogna fare un ulteriore passo indietro, richiamandosi ai vari aspetti della crisi slovacca che risale alle disposizioni del Trattato di Versailles (giugno 1919). Dopo la Prima guerra mondiale in Europa centrale venne costituito un nuovo Stato, la Cecoslovacchia, esempio di democrazia e modernità, ma con al suo interno minoranze etniche che fremevano, rinfocolando le rivendicazioni territoriali di stati confinanti. Buona parte degli stessi slovacchi si sentivano declassati rispetto all’elemento boemo e moravo e cercavano un miglioramento della loro situazione nel raggiungimento dell’autonomia. Inoltre, dopo la separazione tra Stato e Chiesa messa in pratica dal presidente cecoslovacco Masaryk l’elemento cattolico, presente in maggioranza in Slovacchia ma soprattutto nelle zone rurali, si trovò più isolato rispetto a quelli protestante ed ebraico.
Tiso, pur essendo un prelato, non si asteneva dalla politica, anzi, ne partecipava attivamente. Dopo la morte del leader Andrej Hlinka, avvenuta nel 1938, l’ancora giovane don Josef Tiso divenne uno dei capogruppi del Partito Popolare Slovacco, formazione politica di stampo cattolico fondata nel 1913 nel periodo in cui la Slovacchia era ancora una provincia dell’Impero Austro-ungarico. Il partito si incentrava sull’obiettivo di procurarsi l’autonomia all’interno della Cecoslovacchia.
Nel 1938, dopo il congresso di Monaco, la Germania nazista si era annessa la parte dei Sudeti appartenenti allora alla Cecoslovacchia, dove gli abitanti erano in maggioranza di etnia tedesca. L’occidente, rappresentato da Francia e Gran Bretagna, per scongiurare la guerra, aveva ceduto alle richieste tedesche. La Cecoslovacchia praticamente cessava di esistere. Mentre Edvard Beneš, Presidente del paese, decise di lasciare il paese, Tiso venne prima scelto come leader del partito e poco dopo divenne Primo Ministro del nuovo Stato slovacco. Si entrava già nel paradosso: le aspirazioni slovacche nell’avere un proprio stato sembravano essersi concretizzate proprio grazie a un regime, quello nazista, che gli stati puntava ad annientarli. L’Ungheria però, che non aveva mai accettato la separazione, decisa nel 1919, della Slovacchia dal suo territorio tentò di persuadere la Germania ad accettare l’annessione del territorio slovacco. Gli slovacchi, in vista di una possibile invasione da parte dei magiari a sud, decisero di unire le loro forze politiche in un unico partito, vietando allo stesso tempo l’esistenza di ogni forma di opposizione. Il paese si avviava dunque verso una dittatura giustificata dal mantenimento dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato.
Ai tedeschi interessava incorporare le parti boema e morava del Paese e perciò i gerarchi nazisti invogliavano i politici slovacchi a proclamare l’autonomia della Slovacchia sotto la protezione della Germania.
Nel marzo 1939 Tiso fu convocato da Hitler a Berlino allo scopo di trattare dell’indipendenza del suo paese. In realtà non gli venne data un’alternativa sensata: costretto a decidere tra un’illusoria autonomia della Slovacchia o una sua eventuale spartizione tra l’Ungheria e la Polonia, come appunto minacciava il Führer, non poté che decidere di allearsi con la Germania. Hitler effettivamente tendeva a procurarsi un utile avamposto per le successive azioni militari in Polonia e al tempo stesso un piccolo esercito aggiuntivo per altre azioni militari. I tedeschi, il giorno dopo la dichiarazione d’indipendenza della Slovacchia, occuparono subitamente i territori della parte boema e morava.
Il 26 ottobre 1939 Josef Tiso divenne Presidente della Repubblica Slovacca, paese chiaramente di stampo autoritario e con una parvenza di Stato fantoccio alla mercè dei tedeschi. A partire dal 1942 Tiso arrivò ad assumere il titolo di “Vodca”, parallelo al termine italiano “duce” con cui veniva indicato Mussolini.
2. L’ antisemitismo e la questione ebraica
Fu prevedibile che la Slovacchia, alleatasi con i nazisti, prima o poi avrebbe dovuto accettare le leggi razziali. In seguito alla loro approvazione agli ebrei vennero sequestrati immobili e beni di lusso; non solo: venivano anche esclusi dalla vita pubblica con il divieto di esercitare certe professioni o di partecipare agli eventi culturali.
Inoltre, dovevano indossare la stella di David nei luoghi pubblici. A questo punto viene spontaneo chiedersi quale fosse l’atteggiamento di Tiso verso la persecuzione degli ebrei: l’accolse con favore o gli fu imposta? Il religioso slovacco in
questa circostanza assunse una posizione che si può definire alquanto contradditoria.
Da un lato le lettere che scriveva durante la guerra testimoniano le sue idee antisemite, dall’altro però, si riteneva che lui rifiutasse il concetto della cosiddetta “soluzione finale”, cioè lo sterminio di quel popolo così tanto odiato dal regime nazista. A riguardo si riscontrano alcune sue opinioni che rigettano l’utilizzo della violenza, secondo la pura e vera morale cattolica.
E la chiesa di Roma? All’inizio accolse con favore la presa di potere di Tiso (p.e. l’Osservatore Romano si complimentava con il carattere cristiano dello Stato slovacco), ma poi iniziò a prenderne le distanze, soprattutto per la compiacenza mostrata nella deportazione degli ebrei e lo stretto legame con la Germania nazista. Fatto sta, che ancora negli anni Cinquanta in alcune enciclopedie cattoliche Tiso veniva definito un “sacerdote impegnato”. Negli anni del dopoguerra, sempre sull’Osservatore Romano, riguardo alla condanna di Tiso ancora si scriveva di “vendetta e non di giustizia”.
Un’ulteriore domanda che ci si pone è quali radici avesse l’odio che un prete cattolico covava contro gli ebrei. Oggi si suppone che tale sentimento negativo fosse il risultato della confluenza di fattori come: una dottrina cattolica chiusa, un nazionalismo esasperato e soprattutto un forte sentimento anti- magiaro. Infatti, in Slovacchia la maggioranza della popolazione ebraica era proprio di lingua e cultura ungherese, il che aveva alimentato sempre di più quell’odio che emerse durante la seconda guerra mondiale. Un motivo poco considerato dagli storici, ma non per questo meno importante, era quello economico. Si calcola che, insieme ai cechi, gli ebrei slovacchi avessero allora in mano la stragrande maggioranza delle industrie, mettendo in netta minoranza gli slovacchi. Tiso voleva dunque ribaltare tale situazione a favore del suo popolo. Probabilmente egli non organizzò in prima persona le deportazioni degli ebrei dalla Slovacchia, ma è anche vero che nemmeno si diede da fare per impedirle, sostenendo sempre di non essere a conoscenza di quello che succedeva nei campi di concentramento, dicendosi convinto che si trattava unicamente di lavori forzati. Ciononostante, a un certo punto la Slovacchia fu il primo Stato a porre fine alle deportazioni, diventando il paese in cui trovavano rifugio gli ebrei dei paesi confinanti.
Per quanto riguarda il rapporto di Tiso con gli ebrei, si possono citare le sue parole espresse nel 1942, in seguito alle quali si ritiene che fosse ugualmente antisemita come Hitler:
“Mi chiedo: è una cosa cristiana quando il popolo slovacco vuole liberarsi dai suoi eterni nemici gli ebrei? Ѐ una cosa cristiana? L’amore verso i propri simili è uno dei comandamenti di Dio, e questo amore fa sì che io allontani da me tutto ciò che fa male tutto ciò che mette in pericolo i miei simili. Penso che nessuno mi debba convincere che la vita degli slovacchi è minacciata dall’elemento ebraico”
Si riscontrano però documenti in cui si ha conferma che la sua idea di risolvere la questione ebraica in Slovacchia dovesse essere una sorta di “via graduale” in cui gli ebrei dovessero essere esclusi dalla vita economica slovacca dove occupavano una posizione dominante e successivamente anche da quella sociale. Tiso sembrava di per sé rifiutare la violenza che la mobilitazione antiebraica scatenata dal suo stesso governo aveva causato, deciso anche a porne freno. Alla radio disse:
“Nessuno pensi di poter risolvere la questione la questione ebraica da sé […] in caso contrario il governo si riserva di agire severamente in proposito. Di lì a poco, sempre alla radio, precisò: allontaneremo ciò che deve essere allontanato senza odio e senza passione, non con la brutalità ma in modo Cristiano”
La soluzione da lui proposta era quella di trasferire gli ebrei, in maggioranza di lingua magiara, nella vicina Ungheria.
3. La fine della guerra e il processo di Tiso
Nel 1944, mentre da est si avvicinava la minaccia dell’Armata Rossa, i tedeschi invasero la Slovacchia che di colpo perse quella parvenza d’indipendenza che ancora sembrava avere. Il 2 maggio 1945, cioè due giorni dopo il suicidio del Führer e una settimana prima della capitolazione della Germania, Tiso inviò un telegramma all’ammiraglio Doenitz, successore di Hitler, in cui lo assicurava che la Slovacchia sarebbe stata al suo fianco fino alla vittoria decisiva. Quando era ormai convinto che le forze degli Alleati avrebbero vinto la guerra, Tiso scappò in Baviera attraverso l’Austria, ma venne catturato dagli americani e condannato a morte dal tribunale di Bratislava. Il suo processo durò 4 mesi. Molti sostenitori del Partito Popolare ancora lo difendevano e ne chiesero la grazia, ma i comunisti e i socialisti, favorevoli alla condanna, erano oramai in maggioranza. Il processo di Tiso era ispirato a quello realizzato dal Tribunale di Norimberga in cui venivano giudicati i criminali di guerra e che si concludevano con la condanna all’impiccagione, in quanto considerata la pena più deprimente. Vittorio Messori. nel suo articolo Presidente e prete calunniato, ha scritto:
“L’alba del 18 aprile del 1947, nel cortile del tribunale di Bratislava, un uomo sulla sessantina (Josef Tiso), dalla corporatura massiccia, accompagnato da un frate cappuccino, saliva i pochi gradini di un patibolo, sul quale incombeva una forca. Solo sette minuti dopo il momento in cui la botola gli si è aperta sotto i piedi, l’espressione del condannato si è lentamente trasformata in un orribile rictus, mentre dalle sue mani scivolava la corona di un rosario che stringeva tra le mani. Si era scelta l’impiccagione perché considerata più degradante della fucilazione e si era fatto in modo che la morte non fosse immediata ma sopravvenisse tra tormenti e terrori”
Nella Slovacchia di allora, i collaboratori di Tiso (il Ministro dell’ Interno, quello degli Esteri- Ferdinand Ïurèanský e Alexander Mach, responsabile della questione ebraica) condivisero la sua sorte.Lo stesso Tiso, due giorni prima dell’esecuzione disse: Mi sento martire del popolo slovacco e della fazione anti-bolscevica. Alcuni punti dell’arringa finale del procuratore Anton Rašla permettono di capire come fu percepito da una parte dei connazionali subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale:
“È stato presidente, il leader di un partito dittatoriale, si faceva chiamare “vodca” (duce) della nazione mentre agiva come capo di uno stato totalitario, e adesso? Si comporta da un commediante che non sa niente, che non legge i giornali, che non sapeva che lì ci fosse la guerra, che non sapeva cosa avesse scritto Adolf Hitler nel “Mein Kampf”, non sapeva che i tedeschi uccidessero le donne e i bambini, non sapeva cosa succedesse nell’esercito di cui è stato il comandante supremo, non sapeva cosa facesse la Guardia e il suo capo Kubala, non sapeva cosa essi facessero e sostiene di non aver dato ordini a nessuno. Non sapeva che in Slovacchia fosse scoppiata una rivoluzione contro i nazisti e il loro governo, non si ricorda niente e non vuole esserne responsabile”
Da questo testo emerge che il nuovo governo cecoslovacco riteneva Tiso responsabile della morte di migliaia di persone e anche degli enormi danni economici provocati dal suo regime. Tuttavia, egli non dimostrò nessun segno di rimorso, al contrario, dichiarò che se avesse avuto la possibilità di tornare indietro, avrebbe rifatto la stessa cosa.
4. L’attuale atteggiamento degli slovacchi nei confronti dell’ex- presidente
A oltre 70 anni dalla morte di Tiso, possiamo ancora leggere articoli di autori slovacchi che presentano l’ex presidente come un criminale di guerra o un martire dello Stato.
Tra i sostentitori di Jozef Tiso c’è anche chi preme per la sua riabilitazione. Per Andrej Findor dell’Università Comenio di Bratislava, assistiamo a un processo di trasformazione della storia in mitologia che confonde la memoria con la storia. Analizzando la figura di Tiso si dovrebbe infatti prendere in considerazione l’insieme delle sue azioni, non solo il fatto che fosse in un certo senso patriota, Seguendo questo tipo di ragionamento arriviamo al paradosso in cui i mostri vengono tramutati in santi. Negli anni Novanta in Slovacchia, dopo la fine dello stato cecoslovacco e in seguito alle varie nuove interpretazioni portate dalla caduta dei regimi dell’Europa centro-orientale, si è dibattuto molto sulla controversa figura di Tiso: c’era chi lo dipingeva come martire della patria e salvatore, gli altri sostenevano che fosse un triste collaboratore del regime nazista e allo stesso tempo complice del genocidio degli ebrei. Un momento di tensione si ebbe nel 2007, quando a riguardo del regime di Tiso si pronunciò l’arcivescovo Ján Sokol: “lo ricordo sin da bambino. Allora eravamo molto poveri, durante il suo governo la situazione è notevolmente migliorata. Avevamo tutto quello di cui c’era bisogno, anche durante la guerra”. Nel 2000 Jàn Slota, sindaco di Žilina, definì Tiso “un grande personaggio” volendo dedicargli una lapide commemorative, scatenando così ulteriori polemiche.
Alcuni giustificano l’operato del prelato, affermando che egli rifiutò la dottrina razziale nazionasocialista e che venne lasciato solo. Altri, invece, lo ritengono pienamente responsabile. Ancora oggi in Slovacchia monsignor Tiso continua dunque a far parlare di sé.
Luca Palmarini, Monika Dziedzina
L’articolo è nato da un’idea di Monika Dziedzina, studentessa dell’Università Jagellonica di Cracovia, dove frequenta il corso di Laurea specialistica presso la Facoltà di Italianistica
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