Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario n° 10 – Soldi, soldi, soldi
Ogni tanto faccio un giochetto: prendo una parola, una a caso, e cerco di ricordare il maggior numero di titoli di canzoni che la contengano. Oggi mi è venuta in mente per prima la parola “soldi”. Allora, vediamo un po’. Certo, sarà per il successo che ha ottenuto la sorprendente Soldi di Mahmood, come no, che parla di soldi pur parlando di altre cose. Poi c’è Money dei Pink Floyd, chi se la scorda. E Money (That’s what I want) di Berry Gordy dove la mettiamo? La versione di Barrett Strong, d’accordo, ma c’è pure quella dei Beatles. Gli Abba invece cantavano Money, money, money. E dalle nostre parti c’era Betty Curtis che cantava Soldi soldi soldino?
Va bene, fermiamoci qui. Il fatto è che di recente, allettato dalla persistente pubblicità che compariva sui vari social network, ho partecipato a un grosso concorso letterario. Si trattava del premio DeA Planeta, organizzato dal marchio che unisce la nostrana De Agostini al gruppo spagnolo Planeta e che metteva in palio la stratosferica cifra di centocinquantamila euro di anticipo sui diritti d’autore. Tutto si è tenuto nello stretto giro di pochi mesi, perché poco dopo la scadenza del bando (28 febbraio) sono stati comunicati i nomi dei finalisti: la mail con l’annuncio a me è arrivata esattamente a un mese di distanza, il 28 marzo (questo dà l’idea della grande macchina di lettori e valutatori messa in moto dagli organizzatori); nella stessa mail si diceva che su 1169 opere, 208 erano state presentate con uno pseudonimo, tre dei quali appartenevano ai finalisti stessi. Uno di quegli pseudonimi in particolare, come poi si è scoperto in seguito, riportava al nome di Simona Sparaco, che ha vinto il concorso con il romanzo Nel silenzio delle nostre parole. Ammetto che l’unico vero motivo che mi ha spinto a partecipare fosse il montepremi in palio, giacché di soldi – da quando sono nato – ne ho sempre avuto bisogno, in qualche modo; come tutti, certo, ma alcune alcune scelte azzardate (prima) e alcune vicissitudini (poi) mi hanno messo in difficoltà dal punto di vista economico, non lo nascondo. Ammetto anche, però, che fin dall’inizio sapevo due cose: 1- non mi reputo abbastanza talentuoso per vincere un concorso di questa portata, con la concorrenza agguerrita di centinaia, persino migliaia di autori, molti dei quali (a quanto pare) con una lunga e più importante esperienza editoriale alle spalle; 2- non scrivo generi di romanzo che aumentino le possibilità di vittoria in un simile concorso (si può fare anche il solito discorsetto che tanto viene premiata la bella scrittura e non il genere di appartenenza, ma guarda caso poi la maggior parte dei concorsi vengono vinti da storie thriller oppure libri dove predominano i sentimenti o l’intreccio amoroso. È logico insomma che un grande editore preferisca andare sul sicuro pubblicando un libro commerciale, anziché sobbarcarsi il rischio di qualcosa di sperimentale o fuori dagli schemi). Tutto sommato, il concorso era pure gratis, dunque perché non provare? Non ci si perdeva niente, in fondo. Ora, per quanto io non abbia mai letto un romanzo di Simona Sparaco, il suo nome l’avevo già sentito in qualche circostanza, per cui la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare su internet a cercare informazioni sul personaggio: ho letto così che aveva già pubblicato sette libri con editori come Newton Compton, Giunti e Einaudi, che era stata una volta finalista allo Strega, nonché che era già stata tradotta in diversi paesi del mondo. E dopo circa un mese e mezzo dalla vittoria del premio DeA Planeta, il suo nuovo romanzo campeggiava in lunghissime pile non solo in libreria ma anche di fronte al reparto pesce fresco di un’importante catena nazionale di supermercati (e qui si scatena il conflitto: collocazione senz’altro inappropriata e finanche svilente, ma non è forse il desiderio di tutti gli scrittori quello di essere letti da più persone possibili e che i propri libri si possano trovare ovunque?). Intendiamoci, Simona Sparaco non ha fatto niente di male, perché il regolamento non prevedeva che autori “professionisti” fossero esclusi dalla partecipazione. Essendo poi la prima edizione, non c’erano nemmeno sbarramenti riguardanti i vincitori degli anni precedenti (come accadde invece per Romain Gary: con il capolavoroLa vita davanti a sévinse il premio Goncourt a venti anni di distanza dalla prima volta pur non potendolo fare, poiché si presentò con uno pseudonimo nascondendo la sua vera identità). In sostanza non c’era alcuna clausola che le vietasse di gareggiare insieme a novellini e perfetti sconosciuti. Mi rimangono tuttavia un paio di domande. Un autore già di successo, con vendite sufficienti a garantirgli entrate cospicue, e magari con alle spalle una squadra consolidata di editor e persone esperte in ambito editoriale, dovrebbe porsi un problema di moralità in una situazione del genere oppure no? Si può dire che abbia peccato quantomeno di avidità? Domande superflue, può darsi. E può anche darsi anche che la Sparaco quei soldi li dia tutti in beneficienza, può darsi che lo stia già facendo, proprio in questo momento, perché non ne aveva realmente bisogno… che vi devo dire, questo non posso saperlo.
Ho visto che nei commenti accostati al suo nome c’era spesso quello del compagno, un noto giornalista, scrittore e conduttore televisivo. Ma qui secondo me si rischia di cadere nel gossip più bieco e inutile, anche perché poi ognuno è responsabile delle proprie azioni e la lauta vittoria della Sparaco è peraltro legittima. E a scrivere tutto questo si rischia altresì di essere tacciati di invidia, mi accollo l’eventualità. A mio giudizio, però, si può essere invidiosi dell’avversario che ti batte al fotofinish o del compagno che ti soffia il posto in squadra quando credevi che fosse già tuo, non di qualcuno che pur gareggiando nella stessa competizione appartiene a un’altra categoria.
La mia vera domanda è un’altra: un premio così non poteva servire da valido osservatorio su nuovi talenti, e dunque da trampolino di lancio per quegli autori – emergenti o addirittura esordienti – che hanno difficoltà a entrare nel meccanismo della grande editoria e sono alla ricerca dell’occasione della vita? Forse fin troppo romantica come idea. Ma è ovvio qui che la questione ruoti tutta attorno ai soldi, che si parli di scrittori, editori o di chi volete. Chi già ne ha, ne vuole altri, si dice. E chi non ne ha, difficilmente crede alla favoletta che per essere felici non ne servano. Un circolo vizioso dal quale ci si può tirare fuori solo dicendo che esistono la passione e il divertimento, ed è soprattutto per quelli che si scrive, perché se si dovesse farlo per soldi forse avrebbero già smesso in tanti. Via, allora lancio una proposta: perché non istituire un premio esclusivo per scrittori squattrinati, di quelli che “non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese”, la cui partecipazione si deciderebbe in base alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente? Ci scherzo su, ma sia chiaro: per me i premi letterari costituiscono una grossa risorsa per uno scrittore. E la prossima volta continuerò a parlarne, citando casi diversi. Adesso però basta scrivere: mi tocca andare a fare la spesa, e davanti al reparto del pesce fresco tirerò dritto, già lo so.
Mirko Tondi
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