Mirko Tondi – Brandelli di uno scrittore precario n°2 – Il tempo per scrivere
Premetto che l’espressione “Il tempo per scrivere” l’ho mutuata da Daniel Pennac, che nel suo Come un romanzo dice “Il tempo per leggere, come per il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.” Per un autore, si sa, le due cose viaggiano sullo stesso binario e hanno pari importanza, dunque mi avvalgo del diritto di inventare una nuova proprietà delle operazioni: sostituendo i fattori, il risultato non cambia.
La volta scorsa, nel primo numero di questa rubrica, ho raccontato di quando mi sono licenziato da un lavoro a tempo indeterminato e ho scelto di sguazzare nella precarietà (per il momento, almeno, mi sta bene così). Ciò che non ho detto è che quando ho firmato il foglio delle dimissioni mi sono sentito esattamente come Woody Allen in Manhattan: “Per circa trenta secondi sono stato un grande eroe. E… adesso sono soltanto un disoccupato”. Fa niente, mi sono detto più volte, c’è chi non si sente un eroe nemmeno per quei trenta secondi. Riguardo ai soldi, poi, chi ne ha meno ne spende meno. E ho scoperto una cosa fondamentale: il tempo. Avendone di più, all’inizio mi sono sentito disorientato, non riuscivo a organizzarlo in maniera produttiva. Ero abituato a ottimizzare quello che avevo a disposizione, col risultato di essere roso dall’ansia per non riuscire a fare quello che volevo fare nei pochi attimi liberi che mi rimanevano. Il tempo ha sempre rappresentato la mia ossessione, forse è per questo che mi piacciono gli orologi da polso e ne ho almeno sette o otto, senza neanche considerarmi un collezionista. Ho l’abitudine di guardare il quadrante anche quando non c’è una vera ragione, e tendo a valutare la qualità delle mie giornate in base a quanti impegni sono riuscito a sbrigare in rapporto alle ore. Ma da quando ne ho di più, di tempo, ho imparato anche a rivalutarlo, ho iniziato a ragionare in termini di tempo guadagnato e non sprecato, ho scoperto il valore di una camminata, di come si possa scrivere nella mente persino al supermercato durante la spesa o in coda alle poste. Proprio l’altro giorno mi sono trovato di fronte all’ennesima scena imbarazzante all’ufficio postale, quando il solito arrogante ha cominciato a sbraitare perché il suo turno non arrivasse mai e a cercare complici nella stanza, prima con lo sguardo e dopo con quel borbottio proprio dei lamentosi. Io ho abbassato gli occhi sulla busta che dovevo spedire e ho continuato a scrivere l’indirizzo. Il tizio per un po’ si è acquietato; poi, nel momento in cui il suo numerino è apparso sullo schermo, ha ricominciato, ma stavolta aveva una vittima precisa, il povero impiegato che certo tra le sue colpe non aveva la gestione del tabellone elettronico e del sistema che dà la priorità a certi servizi anziché ad altri. Ho guardato l’impiegato provare a rintuzzare per poi spegnersi subito e infine soccombere di fronte al tizio, che adesso poteva sfogare la sua frustrazione contro un bersaglio concreto. Ho notato il disagio dell’impiegato, come quella sensazione prendeva forma sulla sua faccia, eppure lui non poteva o non voleva fare niente per sentirsi meglio, o magari attendeva solo che il suo turno finisse. L’ho immaginato mentre si concedeva la sua personale rivalsa pensando questa frase, l’inizio di un racconto: “Teste di cazzo, siete tutti teste di cazzo”. Mentre tornavo a casa riflettevo già sul fatto di scriverla, questa storia, ma poi ho dovuto metterla in coda agli altri progetti che avevano scadenze più immediate. Comunque, mi sono reso conto, mi ero ritagliato il tempo per scrivere pur senza averlo.
Per come la vedo io, il tempo per scrivere è nella vostra mente, non sta dentro agli orologi. Provate a prendervi un tempo minimo, una finestra sulla scrittura che sia anche di cinque minuti al giorno, non solo per scrivere fisicamente su un foglio o sul computer ma per farlo nella vostra testa. Magari i cinque minuti diventeranno dieci e poi trenta e poi chissà, starete sempre lì a inventare storie. Potreste utilizzare un registratore per raccogliere le idee prima che quelle si dileguino, oppure un taccuino, e se non avete il taccuino va bene anche il cellulare (del resto ci sono applicazioni come Evernote, che permettono di condividere online con altri dispositivi). Poi mettetevi una buona volta al computer e scrivete; io cerco di farlo ogni giorno, anche poche righe, anche una soltanto, ma nel frattempo consento alle storie di continuare a muoversi, perché se si fermano poi è probabile che rimangano parcheggiate da una parte, o peggio che vengano abbandonate (dev’esserci, in qualche posto immaginario, un grande, immenso magazzino delle storie abbandonate, alcune di queste forse geniali). Se non riuscite a scrivere durante il giorno, provate a scrivere la sera, magari dopo cena, e se invece siete di quelli che spengono il cervello appena fa buio, allora provate ad alzarvi un po’ prima al mattino: sì, ad alzarvi per scrivere, è ovvio, non per fare colazione con più calma. Se durante la settimana siete sempre impegnati o non trovate la forza sufficiente per mettervi al computer, sfruttate il weekend: non dovete rinunciare a tutto quello che di solito fate nel weekend, ma potete rinunciare a ciò che è rinunciabile, come andare al centro commerciale il sabato pomeriggio. Se avete uno spazio quotidiano durante il quale siete liberi, stabilite in quello spazio il vostro momento per la scrittura. Se c’è una stanza che preferite per la luce o l’atmosfera, d’accordo, quella sarà la vostra stanza per scrivere, e lo stesso vale per una postazione. Se quando andate al computer state lì a fissare lo schermo per ore senza che succeda niente, non aspettate l’ispirazione ma premunitevi con degli schemi, delle scalette o delle tracce utili a indirizzare il lavoro (come qualcuno ha detto: “L’ispirazione è per i dilettanti, noi professionisti ci alziamo e andiamo a lavorare”, o qualcosa del genere. Credo la citazione sia di Chuck Close ma viene anche attribuita a Vonnegut o a Harvey Mackay. Chi se ne frega poi chi l’ha detta, è una bella frase e basta). Se vi spostate con qualche mezzo pubblico, utilizzate il tempo che passate là sopra per scrivere (va bene anche lo smartphone, non facciamo tanto i puristi). Non perdete tempo a rileggere tutto quello che avete scritto e a fare editing se ancora non avete finito: l’importante, per il momento, è avere una prima bozza. Cercate di eliminare le distrazioni (c’è chi addirittura stacca il collegamento da internet) per il tempo che avete a disposizione, sacrificate il superfluo come le chat di WhatsApp, le notifiche di Facebook eccetera eccetera. Non barate con voi stessi creando pretesti per non scrivere: il tempo non si ha ma si trova.
D’accordo, potrei continuare così per pagine e pagine, ma preferisco fermarmi qui, d’altra parte questa è una rubrica online e devo tagliare corto. L’ultimo consiglio che posso dare è questo: se avete delle passioni (fosse anche imparare l’inuit o costruire architetture con gli stuzzicadenti), dedicategli del tempo; non lavorate dodici ore al giorno per arrivare alla sera che siete incazzati col mondo e non siete riusciti a fare l’unica cosa che davvero vi andava di fare, non siate come quelli che si lamentano sempre solo per il gusto di farlo e per compiangersi. Concludo con una storiella, l’ho letta in un’intervista rilasciata da Jeffery Deaver: «Mi capita spesso nei miei corsi di scrittura che uno studente venga da me e mi dica “Amo scrivere ma non riesco a trovare il tempo per farlo”. Non diventerà uno scrittore. Chi invece viene da me e mi dice “Ho problemi perché non riesco a tenere in ordine la mia vita a causa della scrittura”, ecco, questa persona ha ottime chance di diventare uno scrittore. Lo è già.»
(Mirko Tondi)
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