Mirko Tondi – Lavorare sulla struttura (parte sesta)
Proseguiamo la serie di pezzi che hanno come argomento la struttura, riprendendo da dove ci eravamo lasciati. Nella scorsa occasione avevamo chiamato in causa alcuni sceneggiatori hollywoodiani e i loro schemi (adattabili pure ai romanzi), citando sul finire anche Robert McKee[1]. Serviamoci dunque di un ultimo esempio cinematografico per rientrare nel discorso: difatti si può anche ritenere che Il padrino e Gotti siano stati scritti con le stesse intenzioni, ma nessuno avrà da obiettare se dico che i risultati sono molto, molto diversi, per non dire agli antipodi (e non sto nemmeno a precisare in quale dei due casi non siano stati ottenuti gli effetti sperati…). Insomma, al di là dello schema utilizzato, ci sono sempre decine di altri fattori che incidono sulla fortuna di un’opera.
Da includere in questa carrellata anche uno schema ultranoto, che trova applicazione in vari settori: dal giornalismo al marketing, dalla pubblicità alla comunicazione, fino appunto all’ambito narrativo. Sto parlando del metodo delle 5 W:
- Who (Chi): i personaggi, l’anima di ogni storia mai raccontata;
- What (Cosa): quell’evento capace di muovere la narrazione, responsabile insomma di farle prendere quota;
- Where (Dove): il luogo in cui si svolge la vicenda; anche quando si propende per un’ambientazione imprecisata, si tratta pur sempre di un luogo, no?;
- When (Quando): il tempo in cui si svolgono i fatti, dettagliato, vago o oscuro che sia;
- Why (Perché): la motivazione all’azione, ovvero la spinta propulsiva dei personaggi stessi.
Si è già visto poi come le mappe concettuali possano servire allo scopo di individuare relazioni tra i personaggi, ma allo stesso modo possiamo sfruttarle per tracciare i collegamenti con le ambientazioni, i tempi, gli eventi. Altro discorso sarà quello di mettere in un certo ordine il tutto, facendogli assumere una particolare struttura.
Come già detto, ognuno di questi schemi – o uno di essi in particolare – per qualcuno potrebbe risultare utile a livello preparatorio, ma è possibile anche che per altri l’impiego di un qualsiasi schema potrebbe risultare d’impedimento al normale flusso della scrittura; se è vero che parecchi autori professionisti sono soliti effettuare uno studio a tavolino, programmando ogni tappa del loro lavoro e in certi casi facendo precedere l’effettivo inizio della stesura da mesi e mesi di ricerche, è vero pure che – ascoltando le loro interviste – ne troverete tanti altri che affermano di scrivere, come si dice in genere, “di getto”, senza aver minimamente preparato il terreno.
Di metodo[2] avremo senz’altro occasione di parlarne in uno dei prossimi articoli, dunque per ora dirò solo che – per quanto mi riguarda (e lo dico dalla prospettiva di una persona che non vive di quello che scrive, ma vive per quello che scrive) – per cominciare un romanzo non è necessario conoscere tutto in anticipo, semmai basterà avere un’idea generale dell’opera. Insomma, prima di scrivere un romanzo si presume che se ne saranno letti tanti altri, e proprio per questo si dovrà avere una minima concezione di come possa essere strutturato. “L’opera di ogni romanziere contiene implicitamente una visione della storia del romanzo, un’idea di che cos’è il romanzo” dice Milan Kundera in un suo prezioso contributo[3].
Il romanzo è una creatura mutevole, che cambia forma a seconda delle mani che la modellano, per cui vi capiterà di leggerne alcuni nei quali regnano semplicità e linearità, mentre altri saranno più frammentati, dinamici, imprevedibili. L’originalità non sempre coincide con la bontà di un progetto, anzi qualche volta la lettura si rivelerà ostica, persino compromessa, fino al fatale abbandono del libro. D’altra parte non esiste un modello predefinito a proposito di struttura di un romanzo, anche se le convenzioni ci guidano verso una geometria che già conosciamo; ed ecco che allora ci troviamo di fronte all’apertura con un eventuale prologo, alla classica suddivisione in capitoli numerati o titolati, agli stacchi in bianco o segnalati dagli asterischi, infine all’epilogo. Ah, già: poi ci sono gli audaci, gli sperimentatori, i geni, i folli (e qualche volta, lo sappiamo bene, queste due ultime qualità si sovrappongono).
[1]Si tratta – oltre che di un autore e sceneggiatore – di uno dei più grandi insegnanti americani in fatto di scrittura. Il suo Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie è un altro dei volumi fondamentali se siete intenzionati a prendere tutto questo molto seriamente. Da segnalare poi il bel film Il ladro di orchidee (2002), diretto da Spike Jonze e scritto da Charlie Kaufman, che ha come attori Nicholas Cage, Meryl Streep e uno strepitoso Chris Cooper (Oscar come miglior attore non protagonista); qui, durante la scena di un seminario di sceneggiatura, appare il personaggio di McKee, sanguigno e autoritario, interpretato da Brian Cox.
[2]Del resto proprio di metodo si tratta, perché più che avere l’intera storia in mente prima di scriverne l’incipit, il fatto consiste nell’avere un obiettivo ben definito, per il quale servono motivazione, organizzazione del tempo e disciplina.
[3]La citazione è presa dalla parte iniziale del volume L’arte del romanzo. Tuttavia, il capitolo basilare per chi voglia approfondire il concetto di struttura è il IV – dal titolo “Dialogo sull’arte della composizione”, in forma di intervista con Christian Salmon –, dove Kundera racconta anche come quasi tutte le sue opere siano costituite da sette parti e ne spiega i motivi.
[1]Si tratta – oltre che di un autore e sceneggiatore – di uno dei più grandi insegnanti americani in fatto di scrittura. Il suo Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie è un altro dei volumi fondamentali se siete intenzionati a prendere tutto questo molto seriamente. Da segnalare poi il bel film Il ladro di orchidee (2002), diretto da Spike Jonze e scritto da Charlie Kaufman, che ha come attori Nicholas Cage, Meryl Streep e uno strepitoso Chris Cooper (Oscar come miglior attore non protagonista); qui, durante la scena di un seminario di sceneggiatura, appare il personaggio di McKee, sanguigno e autoritario, interpretato da Brian Cox.
[2] Del resto proprio di metodo si tratta, perché più che avere l’intera storia in mente prima di scriverne l’incipit, il fatto consiste nell’avere un obiettivo ben definito, per il quale servono motivazione, organizzazione del tempo e disciplina.
[3] La citazione è presa dalla parte iniziale del volume L’arte del romanzo. Tuttavia, il capitolo basilare per chi voglia approfondire il concetto di struttura è il IV – dal titolo “Dialogo sull’arte della composizione”, in forma di intervista con Christian Salmon –, dove Kundera racconta anche come quasi tutte le sue opere siano costituite da sette parti e ne spiega i motivi.
Mirko Tondi
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