Non è Bell – Silvia Mazzocchi
Sono rientrata a casa alle 23:15, un normale lunedì sera di ordinaria follia.
Nella multinazionale dove lavoro un coglione – non ancora identificato, ma lo troverò – ha fatto una cazzata con il codice di programmazione e oggi, abbiamo trascorso la giornata a “spalare la merda” che l’errore ha seminato in mezzo mondo.
Cosa faccio per vivere?
Sono Alice, risolvo problemi!
Come il Signor Wolf di Pulp Fiction e oggi ne avevo uno.
Scaravento il pc sulla scrivania, l’osservo come si guarda una carcassa e lo ammonisco:
«Vediamo di restare spento fino a domattina che per oggi, s’è dato!».
Si, io parlo con il notebook, ci trascorro gran parte della mia vita e gli ho pure dato un nome: si chiama Franco.
Ora però, dopo 16 ore di lavoro, voglio solo dormire. Penso mentre il mio stomaco reclama attenzioni. Ok, prima mangiare poi dormire.
Di cucinare non se ne parla e mi vergogno ad ordinare ancora cinese take away, in casa c’è un puzzo di salsa di soia che pare d’essere a Pechino. Apro il frigo e ingollo 5 cubetti di parmigiano, li annaffio con una gozzata di Pinot nero bevuto a canna dalla bottiglia, e concludo il pasto dell’alienato informatico con tre cucchiai di burro d’arachidi. Del mio masochismo alimentare ne parliamo magari un’altra volta.
Con un carpiato mi getto sul letto, ma le grida provenienti dalla strada risvegliano il mio istinto omicida: una manica di adolescenti in tempesta ormonale urla come se fossa sola sul pianeta. Fanno un casino che non è secondo ad una guerra nucleare, o – parafrasando Fantozzi – alla corazzata Potëmkin.
Fanculo, chiudo la finestra e accendo l’aria condizionata, esigo silenzio e fresco.
Sto per addormentarmi, ma la mente va a domani mattina, al delirio che mi aspetta e per un attimo, mi sembra di avere una lastra di ghisa sul petto.
Provo a scacciare l’ansia pensando alla giacca di Gucci che mi voglio comprare, la cosa buona del mio lavoro sono i soldi – e ne guadagno tanti – li uso per comprarmi cose che non mi servono ma che mi danno l’illusione di essere libera.
Forse hanno ragione le mie amiche quando mi dicono che sono un po’ stressata.
Mentre penso alla giacca griffata, finalmente … il buio.
Ore sei, apro gli occhi, anzi no. Apro solo l’occhio sinistro, il destro è già stranamente spalancato sul mondo. Non ha la minima intenzione di chiudersi e collaborare.
Quando mi osservo nello specchio del bagno, vedo un volto stranamente stupito e sbilenco.
Provo ad urlare «Che cazzo è successo alla mia faccia?» ma mi esce «K azze è secces ell me fecc?»
La bocca tira verso destra, quasi ad ammiccare all’occhio spalancato.
Che si dovranno dire sti due?
La parte destra del mio viso è immobile, non risponde a nessun comando e il panico ha la meglio.
Un ictus! Un tumore al cervello! Un’ischemia!
Penso – perché di parlare non se ne parla – poi la mia parte razionale si riattiva e corro al pronto soccorso.
Dopo dieci ore scopro che non ho avuto un ictus, né un’ischemia né un tumore al cervello.
Ho la paralisi di BELL.
Non è bella per nulla ‘sta bastarda della Bell. Pare che questo stronzetto di nervo facciale si paralizzi per l’aria condizionata e lo stress; mio fedele compagno di vita.
«Stia calma, che con riposo e tranquillità nel 99% dei casi il recupero è totale!»
Come no, la calma è la mia qualità più spiccata!
Mi imbottiscono di cortisone e colliri, serviranno per far collaborare l’occhio eternamente stupito che osserva i medici. Quanto alla bocca, questo ghigno quasi mi dona.
Non bastavano 25 anni di guerre contro errori del sistema informatico, è no.
Mi ci voleva l’errore di un altro sistema.
Quello nervoso.
Silvia Mazzocchi
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