Patrizia Raveggi – La scuola, trincea di libertà
In un dibattito di alcuni anni fa tra lui e Corrado Augias [titolo: “La democrazia fra utopia e realtà. Dialogo con Corrado Augias e Luciano Canfora” https://youtu.be/nMJQfS8DAUQ]
dopo un’ora di dotte discussioni su Cosa parliamo quando parliamo di democrazia, Luciano Canfora conclude con un peana alla più straordinaria risorsa delle democrazie del tempo nostro, il tempo che abbiamo sott’occhio, tanto diverso nella composizione sociale da quello di appena cinquant’anni fa; questa risorsa, che in tutte le sue numerose articolazioni mobilita milioni di persone che vi lavorano e vi studiano, coinvolte in un’impresa nobilissima, è l’immenso mondo della scuola, trincea di libertà di un Paese. Se la scuola è al centro della politica di un Paese, quel Paese può essere considerato democratico. Se invece è la cenerentola del Bilancio di Stato, il Paese è destinato alla deriva oligarchica.
L’immenso mondo della scuola, straordinaria risorsa delle democrazie del tempo nostro, quest’anno è stato travolto, assieme a tutto il resto del Paese, dalla pandemia, dopo alcune incertezze e nella crescente gravità di una situazione sempre meno controllabile, il Governo prese la decisione di sospendere le attività didattiche nelle zone più colpite e di estenderla poi a tutte le Regioni e province, fino alla chiusura vera e propria, invitando nel contempo dirigenti e docenti a indirizzarsi verso la didattica a distanza. Come è stato da più parti osservato, per quanto dolorosa e terrificante, questa è stata una delle mosse più azzeccate per il contenimento dei contagi.
Oggi, alla vigilia di una riapertura scolastica assediata da dubbi e incertezze, dilaniata dai dissidi e bombardata da critiche e minacce, la sfida è riportare la scuola al centro del progetto di ripresa del Paese.
Qui di seguito i contributi di pensiero di tre studiosi che sotto diverse angolazioni hanno dedicato le loro energie e attività alle problematiche educative.
Sabrina Pirri, 21.07.2020: “Quando in Italia son state chiuse tutte le scuole, era il 10 marzo. Al momento dell’annuncio stavo facendo lezione di latino e greco a uno studente bravo, che veniva da me solo prima dei compiti in classe. Mi son messa a piangere. Anche lui era turbato: capiva che la realtà vanificava le sue aspettative.”
[…]“La DaD ( didattica a distanza) è nata come nobile sforzo dei docenti migliori per star vicini agli studenti, ma, sebbene non prevista dal contratto, ha presto subito una involuzione burocratico/valutativa difficile da gestire e fonte di infiniti contenziosi, dall’obbligatorietà alla privacy.”[…]
[…] “I nodi son venuti al pettine:
1) la classe docente più vecchia d’Europa, con il precariato più numeroso d’Europa
2) le classi più affollate in scuole spesso anguste/ vetuste.”
[…]L’occasione di cambiar in meglio la scuola, assumendo i precari con 36 mesi di servizio, reperendo e allestendo nuovi spazi, andava colta PRIMA, con decisioni coraggiose e controcorrente.
Siam quasi ad agosto, e siamo ancora allo “Status quo”.
[…]“Ma cosa ci aspettavamo da uno stato che da decenni spende per la scuola una percentuale sempre più ridotta del PIL?” Sabrina Pirri, 21.07.2020
Firma questo quadro della situazione scuola al 21 luglio Sabrina Pirri, già allieva di eccellenza del Liceo Classico Enea Silvio Piccolomini, plurilaureata e poi Preside dello stesso Liceo dal 2013 al 2016, anno del suo gran rifiuto: le dimissioni in polemica con la legge 107 di Renzi&Giannini. La legge cosiddetta della Buona Scuola, operativa fin dal mese di luglio 2015, malgrado gli scioperi di protesta in massa di docenti e personale scolastico di ogni tipo; (la legge istituiva tra le altre cose l’alternanza scuola/lavoro, il bonus premiale e la chiamata diretta degli insegnanti da parte di un Preside/sceriffo) ad oggi non ha dato risultati apprezzabili: infatti per es. “l’edilizia scolastica continua a essere la grande assente dalla tante proposte sulla ripartenza scolastica…i nostri ragazzi vengono ospitati in edifici antichi, musei non adatti a contenere la carne viva dei giovani”, rileva la prof Pirri in un altro suo intervento, e tuttavia all’edilizia scolastica erano destinati molti fondi nella legge 107, così come la stessa 107 prevedeva fondi destinati all’assunzione di un gran numero di quei docenti che il 14 settembre prossimo sarebbero tanto utili e invece dopo cinque anni continuano a mancare all’appello.
La prof Pirri ha dato le dimissioni da Preside, ma della scuola non si è liberata, la porta con sé e oggi ha deciso di voltolare il suo sasso a fianco di Tommaso Fattori, per Toscana a sinistra, tanto per cominciare sostenendo energicamente appunto la promozione di investimenti pubblici nella scuola e nell’università
Tornare alla normalità è impossibile, perché la normalità era il problema.
Cambiare si può e si deve: questione ambientale e sociale vanno di pari passo. La forbice tra ricchi e poveri si è allargata a dismisura. Ci vuole un forte investimento nella scuola e nell’università, perché è da lì che devono uscir le soluzioni ai problemi, non certo dalle discoteche!
“Una pausa pacata di riflessione dunque è già in campo, fortunatamente, e si anima di molte spinte”, così, con l’ottimismo della volontà, Marco Rossi Doria1 conclude il sintetico excursus (su mia richiesta molto conciso, per motivi di spazio) sui tanti progetti in campo educativo e sociale attivati da lui e dalle associazioni con le quali collabora:
“[…]io penso che ci si debba e possa battere contro il digital divide e per ripartire in sicurezza in presenza dando di più a chi oggi è ancora più escluso. Non è cosa facile però. E lo è tanto meno nei troppi luoghi dell’esclusione educativa. Vanno anche colti, però, i segnali positivi per quanto incerti. Durante il lockdown ho provato, insieme a tanti/e, ad articolare questa posizione entro il pubblico dibattere sulla scuola, dopo i mesi di lunga rimozione:
https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/scuola-la-lezione-delle-donne/
In particolare, con il Forum Disuguaglianze Diversità, abbiamo prodotto analisi e proposte che si possono trovare qui in forma articolata:
e sulle quali ci stiamo spendendo molto. 2
Con un lavoro “per le alleanze possibili”, in tanti/e – di culture e sensibilità tra loro molto diverse – stiamo facendo opera serrata di advocacy nella direzione di mettere tutti i bambini e i giovanetti in condizioni di parità nel campo dell’educazione informatica e dell’accesso alla Rete, di risolvere al più presto quelle situazioni di mancanza totale di connessione in tanti piccoli paesi in diverse zone isolate e prive di qualsiasi possibilità di accesso, proponendo in tempi brevi un investimento massiccio a tal fine; abbiamo ottenuto primissimi risultati in termini almeno di interlocuzione, anche conflittuale ma costruttivo-propositiva, con le “autorità”, entro una prospettiva che – certo – sarà lunga, accidentata, faticosa, come si vede qui:
E, a proposito di autorità, registriamo un’articolazione molto diversa tra comuni, tra questi e regioni, tra le regioni stesse, tra enti locali e governo e dentro il governo, il che rende complesso il procedere e necessario e utile un lavoro altrettanto differenziato di pressione e proposta.”
Il sociologo Francesco Consoli3 prevede che la pedagogia dopo il Covid non potrà più essere la stessa:
“L’intelaiatura concettuale del discorso sulla scuola negli ultimi 20 anni prima della bufera Covid era stata contrassegnata dal passaggio dall’apprendimento delle conoscenze a quello delle competenze. […]passaggio a livello internazionale, europeo e italiano; si è trattato di un cambiamento concettuale che avrebbe dovuto ridisegnare il rapporto tra scuola e extra scuola, tra scuola e mondo del lavoro, tra modalità diverse di apprendimento; un cambiamento concettuale che si spingeva a toccare alcuni snodi sensibili dell’istituzione scolastica: i programmi e le materie, il contenuto e le modalità di valutazione, la valutazione delle esperienze condotte fuori dell’ambito scolastico. Malgrado i grandissimi sforzi fatti dalle istituzioni scolastiche e dal potere politico preposto, a livello nazionale ed europeo, possiamo dire che questa grande trasformazione è ancora agli inizi. La scuola rimane radicata e ancorata a un assetto istituzionale fortemente novecentesco. Su questo tronco si sono sviluppate prefigurazioni di una scuola diversa ma spesso la coesistenza con un persistente modo di fare scuola ha generato molte ambiguità, appesantimenti burocratici, incertezze.
Il blocco delle attività didattiche nel periodo del lockdown prima e gli immani problemi che si pongono al mondo scolastico per la riapertura delle scuole “in sicurezza” poi, hanno costituito due grandi ondate che sono piombate in modo rovinoso su una istituzione in piena crisi di identità. […] fenomeno non solo italiano.
Nel momento in cui l’esperienza scolastica di giovani delle fasce d’età che vanno dai 3 ai 18 anni è soppressa o fortemente ridimensionata per un periodo di due anni, lo stesso fenomeno “scuola” si presenta in modo diverso, forse più essenziale, certamente tale da obbligare a una revisione radicale di tutte le retoriche, le mode culturali, gli approcci teorici che avevano caratterizzato la pedagogia precedente.
Ciò che ci si pone davanti sono domande radicali tipo cosa è oggi la scuola, come avviene oggi l’apprendimento, che rapporto c’è tra scuola e apprendimento, che cosa è oggi apprendimento, quali sono oggi i parametri dell’analfabetismo e quindi della alfabetizzazione dei giovani delle diverse fasce d’età e gruppi sociali?
Un esempio: il brusco viraggio durante il lockdown verso la DaD ha portato in primissimo piano un elemento della alfabetizzazione: quella dell’uso esperto degli strumenti concettuali e materiali della comunicazione a distanza.
Per uso esperto non intendo la frequenza e l’abilità nell’uso del cellulare magari per le chat ma la tecnologia (concettuale e pratica) della comunicazione a distanza mediante computer con finalità di apprendimento (e-learning). Il divario di alfabetizzazione non è circoscritto all’uso di mezzi, ma ha una valenza radicale quanto quella che si è registrata nel passaggio dall’apprendimento orale all’apprendimento mediante testi scritti (dispense, libri ecc.) e ha colto l’intero corpo scolastico, con le solite preziose eccezioni, fortemente impreparato. Cosa sia davvero successo con il forzato ricorso alla didattica a distanza nelle scuole sarà forse oggetto di ricerche future ma ora possiamo solo ipotizzarlo soprattutto facendoci delle domande per esempio: come hanno studenti (delle varie fasce d’età, perché non è la stessa cosa la prima media e la terza liceo) e docenti (idem) “riempito” il deficit di alfabetizzazione nell’uso competente dell’e-learning. Qualinegative competencies sono state attivate e come sono state applicate? Quale “nuova didattica” e “nuovo apprendimento” si è sviluppato? Ma anche quali gap si sono spalancati, quali voragini, nel corpo scolastico a livello territoriale, sociale, per genere, ecc.? Quanto grandi essi sono stati, quale è la vera dimensione del “fattore esclusione”, al di là della promozione di massa (i cui effetti si potranno vedere solo più avanti nella formazione degli anni futuri)?
E oggi la riapertura “forzata” delle scuole. Ci sarà possibilità di metabolizzare tutto questo e/o di rimediarvi, ricomponendo un tessuto che si era lacerato? Per quanto autorità e mondo scolastico cercheranno di costruire una parvenza di normalità, il prossimo anno scolastico normale non sarà. La componente della “socializzazione” che sorreggeva i processi di apprendimento sarà ridimensionata, frammentata e comunque vista con sospetto attraverso il pettine della “distanza sociale”. La corporeità dell’apprendimento e dello sviluppo delle competenze verrà ridotta al minimo e resa precaria, alla certezza dei tempi e degli spazi che scandivano l’apprendimento si sostituirà l’incertezza, la precarizzazione, la frammentazione. Una nuova forma pedagogica è alle porte e ad affrontarla saranno docenti in gran parte impreparati (dove avrebbero potuto imparare questa pedagogia?). La pedagogia della nuova scuola, la scuola di questi due anni, non potrà essere quella imparata all’università dai futuri insegnanti. Essi dovranno improvvisare, con le competenze che hanno, insieme ai loro colleghi più anziani, altrettanto impreparati, a inventare qualcosa facendo fronte all’imprevedibilità e all’ansia, ma anche all’opportunismo, propri e dei propri studenti. Dopo questi due anni vi saranno tante rovine. Il territorio della scuola sarà come il territorio di una città dopo un bombardamento a tappeto (o uno tsunami). Tante case, strade, fabbriche, distrutte ma anche tanti spazi per inventare una nuova città.
Ci saranno molti che cercheranno di ripristinare il vecchio mondo ma è molto probabile che sarà quasi impossibile. Forse sarebbe bene cominciare a pensarci da ora. Oggi.
La scuola nella crisi da un lato si è trovata impreparata ad affrontare l’emergenza della Didattica a Distanza e dall’altro si è riscoperta vecchia, vetusta, non al passo con i tempi e in preda all’emergenza si è dovuta reinventare: Non scende a patti con la burocrazia l’idea di scuola del Preside [Il Preside, Marco Lodoli, Einaudi, 2020] né con il modo di pensare di tanti insegnanti rimasti alla scuola del secolo scorso, ignari soprattutto del rapido avanzare e diffondersi della tecnologia digitale, con cui siamo chiamati a fare i conti.
E a Il Preside fa eco il diario di un maestro a distanza, [A scuola senza andare a scuola. Diario di un maestro a distanza, Giuseppe Caliceti, Manni, 2020] racconto dell’ esperienza DaD che evidenzia quanto sia difficile insegnare da una parte e apprendere dall’altra quando le differenze di classe, che in aula potevano essere gestite e stemperate, esplodono senza rimedio. “La scuola a distanza accentua gli aspetti classisti di cui, negli ultimi decenni, si era già ammorbata la nostra scuola pubblica. Non solo perché non arriva a tutti—si calcola che siano più del 6% del totale gli studenti isolati, esclusi, non connessi. Ma perché tende a riproporre gli aspetti più regressivi, sorpassati e deleteri dell’educazione e della formazione: i compiti, l’interrogazione a tu per tu, l’insegnamento frontale. Cioè quello che serve a salvare la forma e la burocrazia (i voti, le certificazioni) di fronte alle famiglie degli utenti. Il famoso pezzo di carta.”
Caliceti non esclude che la DaD, se applicata in modalità avanzate, possa anche evolversi in teoria pedagogica all’avanguardia. Forse in un lontano futuro potrà accadere, ma oggi non è così. Non in Italia. “Perché oggi la DaD accentua l’esclusione sociale e culturale. Con un ricatto molto semplice: o così o niente”.
Ormai siamo alle porte coi sassi, come si dice in Toscana, più o meno due settimane alla riapertura delle scuole, la data del 14 settembre – per quanto sempre più contestata, sembra categorica, alcune Regioni anticipano al 7 settembre, molte altre posticipano a dopo le elezioni- e come accade in campagna elettorale ogni occasione è buona per scatenare la rissa, le opposizioni calcano la mano sui ritardi e le imperfezioni (per tacere di plexiglas, rime buccali e del principio di gruppo abituale), ma c’è anche il fuoco amico dei sindacati, che di fronte allo sconcerto del Ministro Azzolina e all’accigliarsi del Presidente Conte, hanno spiegato che la loro preoccupazione è impedire che il ritorno a scuola equivalga a una ripresa di trasmissione del contagio, ritengono che sia necessario proteggere in pari misura alunni, docenti, dirigenti scolastici e personale scolastico. (Sciopero generale di tutto il personale scolastico proclamato per il 26 settembre).
L’inquietudine che regna in Italia si fa tanto vocale nei riguardi della riapertura scolastica e il “tiro al piccione” contro il Ministero Istruzione diventa talmente sonoro che ne trovo una eco su un articolo uscito il 29 agosto su aljeezera balkans dal titolo
An Italian school left to itself: There is money, but no regulations
The recent start of the new academic year and the return of students to the benches after half a year have been overshadowed by numerous controversies and doubts.
In conclusione e senza poter trarre conclusioni in una realtà romanzesca di continui colpi di scena, razzi e petardi, rivendicazioni e denunce, si può tuttavia meditare sulla constatazione di Samuele Gangi nella sua “Cronistoria di un disastro” :Ci voleva una pandemia perché in Italia la scuola tornasse al centro del dibattito pubblico. Ci voleva la pandemia perché in Italia tutti si mettessero a parlare di scuola in modo, se possibile, ancora più insensato del solito.
Patrizia Raveggi
1 Marco Rossi Doria, che ho avuto il privilegio di conoscere alla Scuola italiana di Nairobi, dove all’epoca prestava servizio (e per i bambini che frequentavano la sua classe Marco non fu un semplice insegnante, ma un Maestro, di quelli che lasciano una traccia duratura); fu nominato primo maestro di strada d’Italia (1994- 1997) per il progetto Quartieri spagnoli con bambini e adolescenti di quella zona di Napoli; nel 2001 ricevette dal Presidente della Repubblica la Medaglia d’oro per la cultura, l’educazione e la scuola. Nello stesso 2001 fondò l’Associazione Maestri di Strada che ha presieduto fino al 2011, anno in cui- come esperto dei processi di apprendimento e delle politiche di inclusione- gli fu affidato l’incarico di sottosegretario del Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca con i Governi Monti e Letta (2011-2014); ha fondato il progetto Chance- ovvero “scuola pubblica di seconda occasione”, pensato per offrire a bambini e ragazzi fragili e poveri le opportunità dalle quali per ambiente sociale e familiare sono esclusi. Nel giugno del 2020 ha accettato l’incarico di presidenza dell’Associazione IF, Imparare a fare, l’Assemblea dell’impresa sociale Con i Bambini nata nel 2016 per attuare progetti sperimentali di contrasto alla povertà educativa minorile.
2https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/05/FDD_Proposte_Riapertura-scuole-spazi-di-vita.x61577.pdf — Crisi educativa
1 miliardo 650 milioni di bambini/e ragazzi/e del mondo sono ancora fuori scuola e confinati a casa o con mobilità limitata. In Italia sono 9,8 milioni. È il 16,8% della popolazione, il nostro futuro. Sono cittadini/e con diritti come gli altri e diritti speciali e ulteriori sanciti dalla Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia del 1989 che è ratificata dall’Italia ed è legge dello stato1. La crisi che stiamo vivendo è la più grande crisi educativa planetaria che si ricordi. Come madri e padri, docenti, zii/e, nonni/e, cittadini/e ci troviamo – con un profondo senso di spaesamento – costretti tra due urgenze, tra due diritti, ancor più in questi giorni di “preoccupata riapertura”:
– salvaguardare la salute concentrandoci nella lotta comune per ridurre e battere il contagio
– ripristinare quanto prima – dedicandovi ogni comune sforzo – i diritti inalienabili dei bambini/e dei ragazzi/e alla scuola e a ogni spazio di socialità e di vita
3 Francesco Consoli ha insegnato e fatto ricerca per più di trent’anni presso l’Università “Sapienza” di Roma, nei campi della sociologia del lavoro e delle professioni, degli studi organizzativi, della sociologia dell’educazione e dell’innovazione e dell’apprendimento riflessivo. Attualmente esercita la sua attività pubblicistica, formativa e di ricerca come studioso e professionista indipendente. È stato membro della Redazione di Scuola Democratica (Learning for Democracy) (http://www.scuolademocratica.it). È membro del comitato tecnico-scientifico del Forum del Terzo Settore del Lazio.
Foto da https://www.huffpost.com/entry/33-vintage-first-day-school-photos_n_5b75d5e0e4b05906b411966e?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly93d3cuZ29vZ2xlLml0Lw&guce_referrer_sig=AQAAANUEjYCZO_v8wSdpUOOT2eouffeSVrBghKINZoRT6L58LwRKhdsyKDnjOF4O_OSSJwF6zQoKF05s9NQ–O8cQuqr1XLaSEzKSc7VSubVH6LlN6MYb8ui-psQu5q0sNA8VUEGzGbXD1iZLtA5xr3blbZohg5e8AGB64QDDAew_lmF
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