Stefania Brivido – Il patto con il diavolo nella letteratura: Dorian Gray e lo specchio-dipinto
Nella prefazione al romanzo Il ritratto di Dorian Gray si assiste allo sdoppiamento dell’autore dell’opera, Oscar Wilde, la quale voce narrante non sembra coincidere affatto con i principi del testo introduttivo, considerato il manifesto dell’Estetismo. E proprio lo sdoppiamento è uno degli aspetti su cui lo scrittore irlandese si focalizza nel corso del romanzo: il giovane protagonista, Dorian Gray, dotato di una bellezza efebica, quasi androgina, tra il maschile e il femminile, incrocia il proprio cammino con il pittore Basil, rappresentante l’angelo buono e il dandy Lord Henry Wotton, che rappresenta l’angelo cattivo o meglio il Diavolo tentatore, capace di insidiare con concetti edonistici attraverso parole misurate e seducenti, un tono di voce affascinante e ammaliante il bellissimo Dorian Gray in un giardino (si tratta forse dello stesso luogo in cui il serpente tentò Adamo ed Eva?). E a sdoppiarsi non è soltanto Dorian Gray, un moderno fair youth shakespeariano quasi in lotta tra apollineo e dionisiaco nietzschiani, ma sono anche tutti gli altri personaggi del romanzo, dai quali emerge un simbolismo allusivo che va ricercato alle origini della mitologia e della filosofia greca, della letteratura latina e in particolare nel Satyricon di Petronio, della letteratura inglese che precedette Wilde e di quel procedimento letterario tipico del medioevo inglese che è la cosiddetta morality, che è poi fin troppo evidente nel corso del romanzo. Nel racconto di Wilde intitolato Il pescatore e la sua anima, Wilde parla di sdoppiamento, pur credendo che l’anima e il corpo non potessero essere mai scissi. Il protagonista è un pescatore che per amore di una sirena decide di separare il proprio corpo e la propria anima, per amarla totalmente solo con l’anima (e per totalmente si intende in qualche modo anche sessualmente).
Il nome Dorian deriverebbe dai Dori e in particolare identifica un giovane efebo d’epoca greca, il cognome Gray indicherebbe ancora lo sdoppiamento tra bianco e nero e dall’unione dei due colori emerge il grigio. Basil è il nome della pianta di basilico citata da John Keats, una pianta che simboleggia il lutto ed è anche associata all’amore e all’amicizia; e anche il famoso basilisco, un animale mitologico che viene ucciso dalla vista del suo stesso riflesso allo specchio; il nome di Sybil Vane, la giovane amata da Dorian Gray, deriva dalla profetessa Sibilla Cumana o Delfica, sacerdotessa di Apollo e come Sibilla, profetizza la propria distruzione; e Lord Wotton, chiamato simpaticamente in inglese old Harry da Dorian significherebbe ‘diavolo’. E proprio lo specchio è un altro aspetto altamente simbolico e demoniaco presente nel romanzo.
Oscar Wilde si rifà a William Shakespeare e al suo specchio utilizzato da Amleto e da Calibano ne La Tempesta, attinge alla concezione dei latini di vanitas, al Faust di Goethe e di Marlowe, prende spunto da John Donne, il quale afferma che gli specchi sono capaci di donare la vita e la morte. Lo specchio è un elemento demoniaco perché è un’insidia e al contempo porta alla profonda conoscenza di sé. Nel romanzo sono presenti i binomi specchio-anima e specchio-dipinto e attraverso quest’ultimo Dorian Gray troverà il proprio disfacimento fino alla morte. Nel dipinto, Dorian non vede la propria immagine fissa in un istante di giovinezza, bensì l’immagine riflessa soggetta ai segni del tempo, a causa del proprio patto con il diavolo. Lo specchio-dipinto è uno strumento di conoscenza in grado di rivelare i recessi più nascosti della coscienza di Dorian Gray, macchiata da diciotto anni di gravissimi peccati; peccati che Wilde sceglie di non descrivere perché ognuno vede i propri peccati specchiandosi nel romanzo. E lo specchio-dipinto è causa di morte per Dorian Gray perché secondo Wilde ogni eccesso così come ogni rinuncia reca la propria punizione. Il pittore Basil, in un capitolo del romanzo, sostiene che non esporrà il quadro per paura di averci messo in mostra il segreto della propria anima e l’atto di regalarlo al proprietario del soggetto segna una condanna a priori per l’anima del giovane uomo attratto, scombussolato, tramortito e allo stesso tempo irritato da quella perfezione intrappolata nel frammento di poche pennellate. In qualche modo, anche Basil è condannato perché condivide con Dorian il segreto della propria anima, è il creatore dello specchio-dipinto e dunque la sua fine è segnata dal Fato sin dall’inizio, sin dalle prime pagine. E degli specchi prova timore il protagonista del romanzo francese (Controcorrente di Joris Huysmans) che Dorian Gray legge tutto d’un fiato, nell’undicesimo capitolo e a questo proposito il narratore afferma:
“Non conobbe mai – e non ebbe alcuna ragione di conoscere – quella paura un po’ grottesca degli specchi, e delle superfici di metallo lucente, e dell’acqua stagnante, che calava sul giovane parigino fin dai suoi primi anni, e che era causata dall’improvviso deperimento di una bellezza che un tempo, così si diceva, era stata assai notevole.”
Dorian non teme gli specchi perché il suo riflesso risulterebbe comunque giovane, ma ha timore del dipinto, coperto con un sipario di porpora e poi nascosto ad anima viva, che come uno specchio gli mostra tutte le degradazioni, le perversioni, gli omicidi commessi, mutando in un essere mostruoso. Tuttavia, Dorian a tratti è ammaliato dal fascino del peccato, a tratti con stizza sente il peso delle proprie atrocità sulle spalle.
Tipico del decadentismo, nel romanzo, è il fascino morboso nei confronti della morte manifestato anche in altre opere di Oscar Wilde. Un atteggiamento che conduce i personaggi ad eluderne la tragicità e a evitare di domandarsi ulteriormente sul senso della vita. Ma la visione di Oscar Wilde non è soltanto decadente, anzi è principalmente estetizzante, diversamente da ciò che asserisce nella prefazione al romanzo, la vita imita l’arte, ed è per questo motivo che Dorian Gray è un’opera d’arte. Il giovane sfiora l’immortalità attraverso un patto ed è un’implicita speranza dell’autore che la vita possa toccare l’eternità. Wilde conferma uno dei principi cardini espressi da John Ruskin, uno dei maggiori critici d’arte d’epoca Vittoriana e insegnante dello scrittore irlandese a Oxford, secondo cui un‘opera d’arte è un’espressione dello spirito. E pur essendo un’espressione dello spirito, il ritratto del giovane Dorian rappresenta l’unica prova di colpevolezza, l’unica voce persistente che ricorda al personaggio che ogni azione non rimane impunita: perché nel castigo c’è purificazione e dunque solo l’oblio della morte restituirà all’anima mostruosa di Dorian Gray la pace.
Stefania Brivido
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