Vincenzo Trama – Il collezionista di paure – di Goran Vojnović, traduzione di Patrizia Raveggi
Goran Vojnović
Il collezionista di paure
Forum Editrice – 160 pagine – Euro 15
Traduzione di Patrizia Raveggi
Le memorie sono qualcosa che da sempre mi attraggono, anche aldilà del dato storiografico. Mi interessa il vissuto personale, e come questo si intreccia in modo più o meno diretto con le vicende che poi ci appartengono, divenendo comune esperienza su questa piccola sfera nell’universo che chiamiamo Terra. Forse perché mi aiuta a ricordare in fondo quanto siamo infinitesimali, o magari perché ho bisogno di sentirmi ridicolo, a volte, quando mi lamento del mio piccolo mondo antico fatto di parcheggi che non si trovano, di foto scatatte male e di una generale quanto istituzionalizzata idiozia di fondo.
È così che mi sono sentito andando a leggere Il collezionista di paure di Goran Vojnović, scrittore sloveno di cui ci siamo già occupati recensendo All’ombra del fico, che potete trovare QUI; questa raccolta di brevi testi, uscita per i tipi di Forum Edizioni, non ha sicuramente l’ampio respiro del romanzo corale appena citato, ma non per questo risulta meno potente, anzi. Proprio in riferimento alla brevità dei capitoli è impossibile non rimanere scossi rispetto ad un mondo che oggi più che mai ci appare prossimo, sullo sfondo di guerre che sanciscono ancora una volta la nostra incapacità di saper leggere, interpretare e decodificare il nostro passato. Non dico che basterebbe poco, questo no. Ma leggere della Gente di un tempo sospeso, ferma per sempre in quel di Srebenica nel 1995, dovrebbe smuovere più di una coscienza. Interpellarla su come questo sia stato possibile e per quanto ancora rimarremo fermi dinanzi a massacri etnici simili. Senza scuse, né giustificazioni che potranno mai, comunque, darci una spiegazione adeguata.
Eppure Vojnović non appare mai apppannato dalla rabbia, anzi. Con lucidità e tanta, pungente ironia ricostruisce l’orizzonte di un passato squarciato dalla spietatezza umana. Nei riferimenti personali con cui inanella un capitolo dopo l’altro, è attento osservatore di una generazione senza punti di riferimento, oltre che di una lingua, di un luogo, e di un passato cancellato a colpi di spugna. E la bellezza della sua prosa, così ficcante e al contempo delicata, sta proprio nel riuscire a farci intravedere germogli di speranza, magari proprio in quei gruppi di scolari che celebrano la sua figura, lui che pure con grande modestia ne minimizza l’importanza – e di conseguenza il ruolo – .
Il collezionista di paure impaurito non lo è per niente, o almeno non lo è più. Infonde un coraggio inusuale, atipico, proveniente da chi questa l’ha affrontata senza chiedere se fosse pronto, come per una foto su Instagram che se viene male si può comunque cancellare. Vojnović non butta nel cestino niente, però; ribadisce a grande voce il suo essere cefuri e nobilita la stessa percezione che si ha del diverso ricordando a tutti che lo siamo comunque tutti, e proprio per questo non lo è nessuno.
Il libro, suddiviso per brevi capitoli come tante piccole sequenze di un film, è un susseguirsi di ricordi e istantanee della sua vita; come questa sia cambiata ai suoi occhi e a quella di chi gli era vicino, famigliari ed amici, quando hanno deciso dall’oggi al domani che la Jugoslavia non sarebbe più stata. E come questo ha inciso, nella sua formazione giovanile, a capire come tanti piccoli ribelli omologati alla Kurt Cobain, sentendosi tutti weirdo, lo facessero sentire così alienato, così estraneo, non appartenente al richiamo di quella cultura, a uno stile, a un modo di percepire le cose che forse era solo un rito dell’adolescenza, o forse qualcosa di più grande.
Certo è che traspare come sempre una grande indulgenza, quasi una tenerezza nostalgica verso tutto ciò che in qualche modo è rimasto maceria. I compagni di scuola, le parole, i parenti, i luoghi, quelle stesse paure che Vojnović dimostra di aver superato tatuandosele sulla pelle ed espellendole in forma d’inchiostro: la cultura è sempre la nostra prima arma di difesa, una resistenza attiva che non dovremmo mai concedere alla prepotenza del nemico, che impugna con feroce orgoglio la sua ignoranza atavica sbandierandola come difesa di un patrimonio che non ha, non ha mai avuto e né mai avrà.
Chi ce l’ha non grida, non urla, non proclama. Ricorda, perpetua, canta di papaveri rossi o di foglie di fico. La differenza è tutta lì. Ma è abissale.
Vincenzo Trama
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